Al giorno d’oggi ci siamo ormai abituati, eppure il fuso orario non è sempre esistito. Sai quando e perché è stato inventato? Scopriamo subito.
Oggigiorno siamo ormai abituati a viaggiare in ogni angolo del Pianeta in maniera più o meno facile e, ovviamente, ci siamo anche abituati all’idea e agli effetti del fuso orario.
Il famoso jet lag che ci fa sentire un poco disorientati dopo aver percorso lunghe distanze, scombussolando anche il nostro orologio biologico. Chi, infatti, è solito viaggiare da una parte all’altra del mondo soprattutto per motivi di lavoro o semplicemente per piacere sa benissimo di che cosa stiamo parlando. Ad ogni modo, non tutti sono a conoscenza del fatto che il fuso orario non è sempre esistito. Andiamo, quindi, a scoprire subito come è nato questo meccanismo e tutto quello che c’è da sapere a riguardo.
Il fuso orario non è sempre esistito: come è nato?
Come abbiamo anticipato fin dall’inizio del nostro articolo, al contrario di quanto si possa pensare, il fuso orario in realtà non è sempre esistito. Nel 1522 l’esploratore Antonio Pigafetta fu il primo ad intuire l’esistenza di un simile meccanismo che, tuttavia, sarà riconosciuto nel concreto soltanto qualche secolo più tardi nel 1884. In pratica Pigafetta, dopo aver circumnavigato il globo, si accorse di essere giunto in Spagna un giorno dopo il previsto. Durante il suo viaggio l’esploratore annotò minuziosamente ogni dettaglio sul suo diario di bordo e ciò gli permise di capire che quel ritardo accumulato sulla tabella di marcia era dipeso dagli effetti della rotazione terrestre. Di fatto, la circumnavigazione era avvenuta verso ovest, cioè in direzione del Sole, tuttavia la Terra girando intorno al proprio asse verso est aveva fatto accumulare un giorno di ritardo alla nave.
La nascita dei fusi orari
Dopo questa importante scoperta, bisognerà tuttavia aspettare ancora qualche secolo per vedere nascere il concetto di fuso orario come lo intendiamo noi oggi. Grazie, infatti, ad un accordo internazionale stipulato nel 1884 la superficie terrestre venne divisa in 24 spicchi, per l’appunto i fusi orari, ognuno dei quali aveva un’ampiezza di 15 gradi di longitudine, vale a dire quindi di un’ora.
Ecco perché oggi un viaggiatore che si sposta verso ovest passando da un fuso orario a quello successivo deve anche spostare le lancette del proprio orologio indietro per recuperare il tempo ‘perso’. Un meccanismo attualmente considerato banale, ma a cui si è arrivati dopo lunghe ricerche e altrettanto complicate trattative.
Articolo di Veronica Elia