Compromette la tua vita, il tuo benessere e le tue prestazioni. Quel qualcosa che odiamo tanto fare e che continuiamo imperterriti ad abbracciare. Non abbiamo la forza di abbandonare, chiudere la porta e andare oltre…
Un’ansia continua che ci prende e non ci fa stare tranquilli, una rabbia che non sappiamo come sfogare. Una situazione che non ci migliora né determina migliori prestazioni. Come una forza che ci attrae e ci respinge e ci fa sentire in un tunnel buio come la pece, sotto terra, senza aria, acqua e cibo. E allora perché non si cambia, cosa ci trattiene, quali sono le paure che ci immobilizzano?
C’è ancora chi sogna l’America credendo di aver scelto il percorso giusto e di trovare il lavoro dei sogni. Ma non solo è difficile trovare lavoro, figuriamoci realizzare i propri sogni. Soprattutto senza esperienza e l’età che avanza si è proprio off, tagliati fuori dal giro, fuori contesto, inopportuni. Anche se non vuoi pensarci è così. Magari un lavoro, anche quello dei “sogni” si trova, ma le persone sono frustrate, insoddisfatte. La tristezza prende il sopravvento insieme ad ansia e stress. Non sono chiacchiere, c’è un report che attesta queste condizioni…
Si tratta del Global Workplace Report, ricerca condotta in 160 Paesi del mondo su un campione di 150 mila partecipanti. Il report ha lo scopo di restituire una stima delle condizioni psichiche e fisiche dei lavoratori. Credi sia tutto bello? No, le analisi sono sconfortanti. Partendo subito dalla nostra Italia i numeri fanno cadere le braccia: solo il 4% degli intervistati ha dimostrato coinvolgimento sul lavoro, il 49% è altamente stressato dal lavoro (questa percentuale ci fa collocare al nono posto della classifica generale) e il 27% delle persone si sente triste quando lavora. Ma il dato che sconvolge è che solo 18% crede sia opportuno abbandonare il proprio impiego (che non lo gratifica) per cercare altro.
Il lavoro è fonte di sofferenza, di stress, di mansionari infiniti e mal definiti, di persone che dovrebbero guidare, insegnare e che in realtà hanno delle metodologie talmente chiuse da non accettare cambiamenti, lì dove occorrono. Spesso persone dagli atteggiamenti adolescenziali che si genuflettono ai superiori e che si comportano come adolescenti in sfida con i nuovi arrivati. Solo chi sa di avere spirito e qualità riesce a dare forfait. La maggior parte degli altri vivono nell’incertezza e soccombono a lavori stressanti, in cui non si rispettano orari e dove non vige la buona educazione. Le persone arrabbiate per il proprio lavoro sono il 20%, quelle preoccupate il 40%. Ci sono persino i doloranti (8%). Tutto ciò fa pensare non si rispetti il concetto di “work, life, balance”, cioè quell’equilibro tra la vita e il lavoro. Il lavoro deve essere confinato a spazi e tempi precisi.
Se lavori più di quanto vivi irrimediabilmente sei triste. Un’azienda, ad esempio, funziona quando le mansioni sono equamente distribuite e non quando il lavoro di più persone viene addossato su di uno per quattro spiccioli. Ci sono buoni lavoratori e buoni leader, spesso si confondono i ruoli e questo può essere deleterio. Se un ruolo resta scoperto per molto tempo, se i dipendenti neoassunti fanno le valigie, forse è il momento di cambiare strategia, perché il fallimento è dietro l’angolo. Bisogna staccarsi dal concetto che il lavoro non c’è e che da un momento all’altro può sparire. Vuoi soccombere tutta la vita ad un agnello vestito da lupo? O migliorare la tua condizione e smascherare l’agnello? Scegli.
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