Che cos’è la xenoglossia? Si tratta di una presunta capacità medianica o paranormale che permette a un soggetto di parlare (e scrivere) lingue sconosciute o inesistenti. Insomma, ci sono alcuni operatori dell’occulto che affermano di poter parlare, scrivere o comprendere una lingua non appresa o mai ascoltata prima.
Da quel che sappiamo, il termine xenoglossia fu coniato dal parapsicologo francese Charles Richet nel 1905. Ma la sua pratica è molto più antica. Già al tempo di Gesù esistevano testimonianze di xenoglossia…
Tante volte il mondo ha accolto con stupore storie di uomini capaci di parlare o comprendere lingue sconosciute. Succede nella Bibbia, nei film dell’orrore (dove i posseduti parlano latino o greco) e negli spettacoli di magia. Durante il Medioevo i cronisti registrarono moltissimi fenomeni di xenoglossia, rubricati come miracoli o sintomi di possessione demoniaca. Dal Settecento in poi, moltissimi maghi, operatori dell’occulto, medium e parapsicologi si sono detti in grado di parlare lingue straniere o sconosciute. Poi sono arrivati i teorici della reincarnazione come Ian Stevenson, che dicevano che era possibile ricordare la lingua parlata nella vita precedente.
Mettiamo subito in chiaro che non esistono prove scientifiche che dimostrino la veridicità della xenoglossia. Per tradizione si distingue fra due forme principali di questa abilità. C’è la xenoglossia recitativa, che è l’uso incomprensibile di un linguaggio non acquisito. E poi c’è la xenoglossia reattiva, che riguarda la capacità di impiegare in modo intelligibile il linguaggio non appreso come se fosse già acquisito. Questa seconda declinazione potrebbe aver a che fare con eccezionali capacità mnemoniche del mago o dell’illusionista. Invece, possiamo interpretare la xenoglossia recitativa come un esempio di criptomnesia, in cui i ricordi di una lingua acquisita in precedenza nella vita rientrano nella coscienza in determinate circostanze eccezionali.
Il parapsicologo e psichiatra canadese Ian Stevenson era un convinto sostenitore della xenoglossia. Durante i suoi studi trattò vari soggetti che parlavano lingue sconosciute. In due casi si trattava di pazienti che avevano cominciato a usare lingue straniere sotto ipnosi. Stevenson ci ha lasciato molti documenti sulle sue ricerche. E giustificava questi fenomeni chiamando in causa la reincarnazione. Lo psichiatra credeva cioè di essere riuscito a risvegliare nei pazienti ricordi delle vite passate.
Ma per la scienza contemporanea si tratta di dati inservibili: nessuno insomma dà credito alle teorie di Stevenson. Sarah Thomason, linguista dell’Università del Michigan, ha rianalizzato tutti i casi raccolti da Stevenson, e ha concluso che non ci sono evidenze linguistiche o psichiatriche che dimostrino che i soggetti potessero davvero conoscere o parlare lingue sconosciute.
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