A Pamukkale, in Turchia, una roccia bianca di origine calcarea si staglia con formazioni increspate e minacciose sul panorama pianeggiante. In questo stesso luogo gli antichi Romani furono convinti di aver rintracciato una porta che conduceva agli inferi. Da più di duemila anni, quindi, il sito lega la sua storia a un mistero inquietante. Siamo davvero al cospetto di un antico portale per gli inferi?
Ci troviamo in Turchia, nell’antica città di Ieropoli, in quella che un tempo veniva chiamata Frigia. Moltissimi studiosi hanno cercato di svelare i segreti della Porta dell’Inferno. Ma solo di recente l’archeologia è riuscita a scoprire la verità su questo luogo e sugli antichi miti romani che lo hanno reso celebre.
La verità sulla porta turca degli inferi
Duemila anni fa, dinanzi a questa porta si celebravano importantissimi sacrifici rituali. Per tradizione il culto era officiato da un sacerdote eunuco. Costui conduceva sull’altare un toro. Ma non lo colpiva con il classico coltello sacrificale. Si limitava a innalzare un’orazione. E il toro moriva da solo. Succedeva tutte le volte. E le persone raccolte intorno all’altare, o radunate nel vicino anfiteatro cominciavano a strepitare e a ballare, catturate da un’estasi mistica incontrollabile. Per gli antichi si trattava di un prodigio innescato da Plutone, il signore dell’Oltretomba. I Romani erano infatti convinti che la pietra della pianura fosse collegata agli inferi, ossia al regno dei morti.
Alcuni scrittori antichi ci spiegano che la morte dei tori dipendeva dall’alito infernale che risaliva le viscere della Terra per poi schizzare fuori dalla porta degli inferi. Una spaccatura corrispondente a una grotta, posta fra le rocce. Da anni scienziati e storici cercano di spiegarsi come fosse possibile che le vittime morissero senza essere pugnalate. E ovviamente scartano la possibilità di un intervento divino o di un prodigio operato da forze magiche.
Ecco cosa succedeva davvero
Un team di ricercatori internazionali (fra cui molti italiani) ha scovato la vera Porta dell’Inferno durante uno scavo. E nel 2013 i lavori archeologici hanno restituito allo Stato turco un antichissimo santuario nell’antica città di Ieropoli, nel sud-ovest della penisola anatolica. Il tempio in questione è consacrato a dèi degli inferi, ovvero a Plutone e Kore, e si trova in una grotta, sotto il teatro. Più precisamente alla base degli spalti dell’antico anfiteatro della città orientale. Su quell’altare i sacerdoti conducevano buoi, maiali e pecore per sacrificarli. Ma, come abbiamo spiegato, tutte queste vittime animali morivano da sole.
Le rocce della grotta sono in travertino, e assomigliano a pareti calcaree. Proprio queste rocce appaiano ricchissime di minerali. Raccolgono acqua piovana, e ne recuperano altra da sorgenti nascoste. Quest’acqua scorre lungo il pendio, evapora al sole e lascia dietro di sé un deposito di carbonato di calcio bianco e brillante. I ricercatori ne hanno trovato un bacino enorme sottoterra. Pare che il deposito sia lungo più di tre chilometri. E proprio questo carbonato dava origine al prodigio…
Gli animali condotti sull’altare morivano per le esalazioni di carbonio. Da una fessura nella grotta infatti ancora oggi vengono fuori quantità enormi di anidride carbonica di origine vulcanica. Esalazioni letali a seconda dei momenti della giornata e della posizione. Perché gli animali morivano e i sacerdoti no? Perché gli animali stavano più in basso, con le vie respiratorie più prossime allo sbuffo di carbonio. I sacerdoti stavano invece in piedi, e l’esalazione non riusciva a intossicarli.