Novità importanti sugli studi concernenti l’autofagia. Alcuni specialisti russi hanno pubblicato un nuovo studio sulla capacità dei terpeni di abete siberiano di innescare il processo di autofagia. Per alcuni analisti, si tratta del processo che potrebbe svelare all’uomo contemporaneo il vero segreto dell’immortalità. Lo studio è stato finanziato dalla società russa Initium-Pharm e dall’Istituto Engelhardt di Biologia Molecolare dell’Accademia Russa delle Scienze.
Gli autori dello studio hanno pubblicato i risultati della loro indagine sulla rivista Aging. E il dibattito si è subito fatto incandescente. Siamo davvero di fronte a un processo in grado di smaltire dalle cellule organiche molecole danneggiate, parti vecchi e virus dannosi?
Il segreto dell’immortalità della scienza contemporanea: progressi nello studio dell’autofagia
I terpeni sono biomolecole, cioè dei composti organici presenti in molte piante (tra cui la lavanda, il rosmarino, la canapa). A volte possono anche essere prodotti da alcuni insetti. La loro funzione primaria è quella di conferire alla pianta o all’organismo una particolare profumazione che la contraddistingue dalle altre. Secondo lo studio russo, i terpeni dell’abete siberiano sono composti in grado di smaltire i rifiuti interni delle cellule. Dei veri e propri spazzini e riciclatori che possono trasformare tutti gli organismi dannosi o danneggiati in sostanze nutritive. Dopo aver condotto uno studio sugli effetti dei terpeni sulla cellula, i ricercatori hanno notato mutamenti nell’espressione di ventimila geni. Con l’analisi quantitativa del proteoma hanno poi fatto luce sul meccanismo alla base degli effetti biologici dei terpeni di abete siberiano.
In pratica gli abeti siberiani (Abies sibirica) riparano tutte le parti danneggiate. E in questo modo non muoiono né si ammalano. E questo grazie ai terpeni. Il meccanismo vincente è quello dell’autofagia. Un processo biologico che permette la degradazione e il riciclo dei componenti cellulari. Sappiamo da tempo come funziona: i costituenti citoplasmatici danneggiati sono isolati dal resto della cellula all’interno di una vescicola a doppia membrana. Tale membrana si fonde con un lisosoma e tutto il suo contenuto si consuma. Le sostanza distrutte vengono in parte riciclate. E in questo modo la cellula si protegge da danni e vive più a lungo.
In questo senso, poter controllare l’autofagia potrebbe voler dire scoprire il segreto dell’immortalità: le nostre cellule potrebbero autoripararsi da ogni danno. Anche ringiovanire. Tale meccanismo è stato studiato a fondo dal premio Nobel per la Medicina nel 2016 a Yoshinori Ōsumi.
Cura di malattie e progressi della medicina
Al di là dell’ideale forse irrealizzabile della conquista del segreto dell’immortalità, lo studio dell’autofagia è promettente per moltissime ragioni. Le industrie farmaceutiche cercano componenti autofagiche naturali, come appunto i terpeni. C’è chi guarda alla canapa e chi ad altre essenze più rare. In generale la disregolazione dell’autofagia è coinvolta nella patogenesi di un’ampia gamma di malattie. Ecco perché tante compagnie farmaceutiche investono enormi capitali per identificare e caratterizzare delle nuove molecole (sintetiche o naturali) che possono regolare questo processo.
Sfruttando con metodo il meccanismo dell’autofagia nelle cellule beta produttrici di insulina del pancreas, potremmo risolvere il diabete di tipo 2. A livello cerebrale, invece, potremmo porre rimedio all’Alzheimer. Occhio quindi all’olio essenziale dell’abete siberiano: potrebbe rendervi immortali!