A quanto pare la CO2 nell’atmosfera falsa inesorabilmente le datazioni ottenute col metodo del carbonio-14. Per l’archeologia e la storia il problema è rilevante. Significa che non è possibile ottenere misurazioni precise dell’età dei reperti. E più andremo avanti e peggio sarà.
Secondo alcuni studiosi la datazione col metodo del carbonio-14 potrebbe essere influenzata e falsata dall’aumento di CO2 nell’atmosfera. Ma è davvero possibile? Prima di addentrarci nel problema, ripetiamo qual è l’argomento trattato.
Perché usiamo il carbonio-14 per datare i reperti archeologici?
Il C-14 è un isotopo (cioè un atomo) radioattivo del carbonio. Il nucleo di quest’isotopo è composto da sei protoni e otto neutrini. E da questa somma otteniamo il 14. 6+8=14, no? Ebbene, come tutti gli elementi radioattivi, il carbonio-14 è instabile, e questo significa che si trasforma o decade spesso in un altro elemento. Come? Perdendo dei protoni.
In archeologia, ma non solo, parliamo spesso di datazione al carbonio-14 (detta anche datazione al radiocarbonio) perché con questo metodo riusciamo a determinare l’età di oggetti e corpi in base al decadimento in azoto del radiocarbonio (carbonio-14). Ma in che modo? Ora cercheremo di spiegarvelo nel modo più chiaro è possibile. Pronti? Via!
Il carbonio-14 si forma spontaneamente in natura dall’interazione dei neutroni con l’azoto-14 nell’atmosfera terrestre. Quanto ai neutroni necessari per questa reazione, sono tutti prodotti dai raggi cosmici che interagiscono con l’atmosfera.
Bisogna sapere che il radiocarbonio presente nelle molecole dell’anidride carbonica atmosferica entra nel ciclo biologico del carbonio. In pratica viene assorbito attraverso l’aria dalle piante e poi ceduto agli animali attraverso la catena alimentare. Quindi cani, maiali, scoiattoli, dinosauri e uomini contengono tutti del C-14. C’è un’altra questione importante… Il radiocarbonio decade molto lentamente negli organismi viventi. In più, la quantità persa viene di norma reintegrata finché l’organismo aspira aria e si nutre. Una volta che l’organismo muore, però, smette di assorbire il carbonio-14 e la quantità di radiocarbonio nei suoi tessuti diminuisce progressivamente. I chimici vi diranno che il carbonio-14 ha un’emivita di 5.730 ± 40 anni. Ovvero metà della quantità di radioisotopo presente in un dato momento subirà una disintegrazione spontanea nei successivi 5.730 anni. Insomma, il carbonio-14 decade a questa velocità costante. E allora è possibile stimare la data in cui un organismo è morto misurando la quantità del suo radiocarbonio residuo. Chiaro?
Perché non possiamo fidarci delle datazioni al radiocarbonio
Abbiamo detto che il C-14 è presente, nel ciclo vitale, sempre in percentuale costante rispetto agli altri isotopi del carbonio. Tuttavia, quando il ciclo vitale si interrompe, si ferma anche l’assorbimento del carbonio. Il calcolo del rapporto tra i diversi isotopi di carbonio presenti in un reperto permette perciò di datarlo fino a circa cinquantamila anni fa, con un margine di errore tra il due e il cinque percento. Alcuni scienziati pensano però che il margine di errore sia molto più ampio. E questo a causa dell’inquinamento.
L’uso dei combustibili fossili a base di carbonio (il petrolio, il carbone) fanno aumentare la quantità di carbonio non radioattivo (stabile) nell’atmosfera. E questo aumento fa sballare il metodo del C-14 perché cambia tutti i rapporti noti tra gli isotopi del carbonio. E più CO2 immettiamo nell’atmosfera e più rendiamo la datazione inaffidabile. Quindi fra cento anni la forbice di approssimazione diventerà ancora più ampia. E il margine di errore supererà il trenta per cento.