Esistono composti chimici naturali che riescono a inibire il recettore nicotinico dell’acetilcolina (nAChR). Si tratta di un sottotipo di recettore che governa le funzioni neuromuscolari. Sappiamo che i popoli precolombiani del Centro e del Sud America erano dei veri e proprie esperti in questo campo: sapevano riconoscere e usare le armi chimiche.
Gli indios riconoscevano, trattavano e somministravano sostanze che provocano l’intorpidimento dei muscoli scheletrici e anche la morte per asfissia. Il decesso della vittima, in genere, era dovuto alla paralisi del diaframma.
Le armi chimiche sfruttate dai popoli precolombiani
Gli indios chiamavano curaro tutti i veleni alcaloidi con cui intingevano le punte delle loro frecce. Questi veleni provenivano da estratti vegetali di varie piante raccolte o coltivate. Non esiste dunque un unico curaro. Molte popolazioni indigene dell’America centrale e meridionale avevano la loro pianta specifica da cui ottenere il veleno.
In pratica gli indios usavano il cosiddetto curaro come agente paralizzante per la caccia e la guerra. Ma sapevano sfruttarlo anche per scopi terapeutici. Lo sciamano faceva bollire la corteccia di una pianta alcaloide (spesso creava dei mix di varie erbe e arbusti) per due giorni, poi filtrava il tutto per purificare la droga. Quando otteneva una pasta scura e densissima, chiamava a raccolta i cacciatori o i guerrieri, i quali applicavano il veleno sulle punte delle frecce o dei dardi (che sparavano con le cerbottane). Sappiamo però che il curaro era utilizzato pure come trattamento efficace per l’avvelenamento da tetano e come agente paralizzante per le procedure chirurgiche.
Come funziona il curaro?
I popoli precolombiani sapevano che il curaro diventa attivo solo grazie alla contaminazione diretta della ferita con la punta di un dardo o una freccia avvelenata. Questi veleni funzionano infatti quando entrano nel sangue, come succede nelle iniezioni.
La parola curaro deriva dal lemma wurari usato nella lingua caraibica dei Macusi della Guyana. Lo specifico veleno usato dai Macusi proveniva da una pianta conosciuta come Strychnos toxifera. Secondo gli antropologi non tutti i popoli precolombiani erano in grado di ottenere alcaloidi puri. Molte tribù si accontentavano di sostanze non cristalline. In generale quasi tutti i preparati di curaro erano miscele complesse.
Dal punto di vista chimico, gli indios sceglievano sempre potenti alcaloidi isochinolinici o indolici . La tubocurarina era uno dei principali componenti attivi nei dardi sparati con la cerbottana dalle tribù della Foresta Amazzonica. Questa tubocurarina è un composto naturale costituito da basi azotate, ma la sua struttura chimica è molto variabile, quindi la preparazione è fondamentale.
Quasi tutti gli alcaloidi curaro possono legarsi facilmente al sito attivo dei recettori per l’acetilcolina (ACh) alla giunzione neuromuscolare, bloccando l’invio degli impulsi nervosi ai muscoli scheletrici, e così paralizzando efficacemente i muscoli del corpo.