In Giappone dei ricercatori guidati dal famoso chimico Takuzo Aida hanno creato un materiale plastico in grado di autoripararsi. In pratica, hanno creato un polimero che può rimarginarsi e riparare da sé ogni crepa, anche a temperatura ambiente. Se i risultati dello studio dovessero essere confermati, saremmo di fronte a una rivoluzione nella fisica dei materiali. Il mondo, anche per una questione ambientale, ha davvero bisogno di plastica che si autoripara!
Takuzo Aida è un chimico molto noto in Giappone. Un superesperto di polimeri e di chimica supramolecolare. Vicedirettore del RIKEN Center for Emergent Matter Science (CEMS) e professore all’ Università di Tokyo, ha già offerto contributi pionieristici nel campo della polimerizzazione supramolecolare.
Una plastica che si autoripara
Da sempre Aida si preoccupa di questioni ambientali. Denuncia la diffusione dei rifiuti di plastica e delle microplastiche negli oceani, e per questo lavora per creare polimeri supramolecolari dinamici, reattivi, adattabili e curabili (cioè che si riparano o si autoriparano). Il suo team ha da poco affermato di aver trovato un metodo per creare “plastica che si autoripara”. E una simile invenzione potrebbe ridurre di tantissimo la quantità di rifiuti presenti sul pianeta. In più, potremmo usare questa componente rivoluzionaria per le automobili, per gli smartphone e tanti altri oggetti di uso comune.
A quanto pare basta una piccola quantità di un “agente specializzato” mescolato nella plastica ordinaria per innescare un meccanismo virtuoso atto a riparare in automatico crepe e fessure. I risultati della ricerca sono stati presentati dal vivo, alla conferenza annuale della Chemical Society of Japan, il 26 marzo scorso. E ora aspettiamo un articolo, per valutare nello specifico i dati.
“La nuova tecnica potrebbe portare allo sviluppo di una plastica sostenibile fatta per durare nel tempo. Parlo di un polimero che non ha bisogno di essere scartato o riciclato”, ha affermato il professor Aida. Già nel 2018, Aida aveva sperimentato una sostanza chiamata polietere tiourea per creare un materiale plastico in grado di autoripararsi. Ma in quel caso, i suoi frammenti o le parti della plastica dovevano essere premuti l’uno contro l’altro per un intervallo abbastanza lungo di tempo. Ora quel metodo è stato perfezionato.
La nuova ricetta di Aida
Per la nuova plastica che si autoripara c’è un nuovo ingrediente che rende meno faticoso l’intervento meccanico dell’uomo. I risultati sperimentali hanno mostrato che la plastica mista può ripararsi spontaneamente a temperature ambientali. La plastica, come materiale, non è altro che un insieme di catene intrecciate di molte molecole. E ogni rottura non è altro che una frattura espressa dalle connessioni molecolari. La plastica giapponese di Aida rinsalda le catene di molecole rotte in base a un meccanismo noto come legame a idrogeno. Basterà insomma tenere vicini i pezzi danneggiati a temperatura ambiente per circa un’ora, e il pezzo di plastica sarà riparato.
Gli oggetti formati da plastica ordinaria devono essere fusi ad alte temperature per essere riparati. Ecco come funziona il riciclaggio: si butta la plastica finita nei rifiuti in una fornace e la si fonde, in modo da creare nuovi polimeri.
Ma il pianeta Terra non ha ancora imparato a riciclare come si deve questo materiale così inquinante. Secondo un rapporto pubblicato a febbraio scorso dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), il mondo riesce a riciclare solo il 9% della plastica prodotta.