Gli antichi Egizi credevano che ogni uomo fosse dotato di un’anima, ossia di un’essenza incorporea. Tale essenza era considerata multipla, cioè composta da molte parti. Secondo gli antichi miti della creazione, il dio Atum creò il mondo dal caos, attraverso il proprio spirito magico. E visto che la creazione discendeva da un’iniziativa magica, gli Egizi concepivano l’intero mondo come un insieme di corpi e oggetti intrisi di magia. Negli esseri umani, quella magia, prendeva forma compiuta nell’anima.
La magia dell’anima per gli Egizi era equiparabile a una forza eterna presente in ogni uomo. Anticamente si distinguevano cinque sezioni spirituali, all’interno di ogni essere umano. Cinque parti dell’anima. Più avanti, le parti divennero sei o sette. Conosciamo i nomi e le funzioni di queste sezioni grazie ai testi funerari egizi.
Le antiche iscrizioni e i geroglifici parlano di alcuni elementi distintivi, assimilabili a delle sezioni principali dell’anima. Ogni uomo infatti era composto di un Khet, ovvero di corpo fisico, di un Akh (energia eterna), di un Ren (nome, identità), di un Ba (personalità), di un Ka (doppio) e di un Ib (cuore).
Perché menzioniamo anche il Khet, cioè il corpo esteriore, fra le parti dell’anima? Perché per la religiosità egizia il corpo era importante tanto quanto lo spirito. L’esteriorità non era considerata un mero contenitore. Per gli Egizi, il Khet era fondamentale per la conservazione e lo sviluppo dei contenuti spirituali. Ecco perché i corpi dovevano essere preservati nel miglior modo possibile anche dopo la morte (con i sarcofagi, le sepolture e l’imbalsamazione, le piramidi).
Ogni egizio quindi era fatto di cinque elementi spirituali, che non potevano sussistere senza un fondamento fisico, ossia senza corpo. Nel caso in cui la mummificazione e la sepoltura non potessero garantire una conservazione ottimale del Khet, questi cinque elementi erano destinati a disperdersi e a consumarsi. La vita era data dall’armonia di questi cinque elementi con il corpo. Tale ipostasi è chiamata Akh. Ed è una sintesi luminosa dell’eterna energia cosmica che pervade l’esistenza. Il simbolo dell’Akh era un ibis piumato, che vola via dal corpo, dopo la morte di un essere
Con la mummificazione il Khet sarebbe divenuto Sah, ovvero corpo spirituale, più nobile e puro. Per compiere questa purificazione ogni corpo andava spogliato degli organi interni. Solo un organo non andava rimosso: il cuore. Questo perché il muscolo cardiaco era visto come la sede dell’Ib, ossia del centro dei pensieri, dei ricordi e dei sentimenti. Il Ka, invece, rappresentava l’energia vitale e impersonale. Era una forza tramandata dai genitori, che andava nutrita anche dopo la morte. Ecco perché nei sepolcri si trovavano spesso offerte di cibi e bevande. Tale nutrimento era spirituale: il Ka prelevava la forza da quei cibi, lasciandone intatta la forma. E infatti queste offerte venivano poi donate ai sacerdoti o agli operatori delle necropoli o delle piramidi.
Il Ba era invece la forza personale di ogni individuo, il suo carattere, il desiderio, la sua personalità. Nei geroglifici è rappresentato da un volatile con testa umana. Anche il Ba si nutriva con le offerte di cibo poste sulla tavola: era appunto un uccello spirituale, che poi volava fuori dalla tomba per recarsi a visitare le persone che amava. Il Ren era il nome, il segno che racchiudeva l’essenza e l’identità di una persona. Per questo quasi tutti gli oggetti del corredo funerario sono contraddistinti da una trascrizione del nome del defunto.
Esisteva poi un altro elemento: l’ombra, chiamata anche Shut. Gli Egizi consideravano l’ombra come un elemento immateriale proiettato dal corpo, un segno magico che rendeva manifesta la differenza fra vivi e morti. Anche l’ombra quindi era una parte dell’anima.
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