Comunemente indichiamo con il simbolo c la velocità della luce nel vuoto. Usiamo proprio la c perché è una costante fisica universale, fondamentale in molte materie scientifiche. Il suo valore preciso preciso è di 299.792.458 metri al secondo, ossia circa trecentomila chilometri al secondo…
Secondo la teoria della relatività speciale, c è il limite massimo di ogni spostamento. Cosa significa? Che la materia convenzionale non può andare più veloce di così. E il limite vale anche per qualsiasi altro segnale che trasporta informazioni nello spazio.
Non solo la luce del sole viaggia a questa velocità impressionante. Tutte le forme di radiazioni elettromagnetiche si muovono alla velocità della luce. Quindi, anche se la luce e altre onde elettromagnetiche sembrano propagarsi senza ritardi, impiegano un certo tempo per coprire determinate lunghe distanze. Magari un tempo breve, ma che in fisica ha molta importanza. Così in tutte le misurazioni molto sensibili, la loro velocità finita determina effetti evidenti e fondamentali. La velocità di questa costante viene spesso usata per le misurazioni del tempo di volo quando si tratta di misurare grandi distanze con alta precisione.
Un esempio concreto è quello della comunicazione con le sonde spaziali lontane. Queste informazioni possono impiegare da minuti a ore per arrivare dalla Terra a una sonda, o viceversa. Lo stesso succede con la luce proveniente dalle stelle. Qui il ritardo può essere di anni, di migliaia o milioni di anni. Il bagliore che vediamo è stato espresso dalle stelle molto tempo fa, e ciò permette agli astronomi lo studio della storia passata dell’Universo.
Nella vita di tutti i giorni, invece? Disponiamo di esempi pratici di ritardi dovuti alla velocità della luce. La velocità finita della luce può infatti limitare anche il trasferimento di dati tra la CPU e i chip di memoria nel computer.
Fu Ole Rømer a dimostrare per la prima volta nel XVII secolo che la radiazione luminosa viaggia a una velocità finita e non istantanea. Lo fece studiando il moto apparente di Io, la luna di Giove. Nel 1865, James Clerk Maxwell pensò che la radiazione fosse un’onda elettromagnetica che viaggiasse a una velocità costante (c). Aveva ragione! E i suoi studi furono fondamentali per sviluppare la teoria dell’elettromagnetismo.
Nel 1905 ci fu la svolta. Albert Einstein postulò che la velocità della luce c rispetto a qualsiasi struttura inerziale è una costante ed è indipendente dal movimento della sorgente luminosa. Sempre Einstein esplorò le conseguenze di quel postulato e così formulò la teoria della relatività. Grazie a quella teoria oggi sappiamo che la velocità della luce ha rilevanza anche al di fuori del contesto della luce e dell’elettromagnetismo.
Cosa significa tutto questo? Che anche le particelle prive di massa e le perturbazioni di campo come le onde gravitazionali viaggiano alla velocità c nel vuoto. Tali particelle, infatti, viaggiano alla velocità stellare indipendentemente dal movimento della sorgente o dal sistema di riferimento inerziale dell’osservatore. Le particelle con massa a riposo diversa da zero possono solo avvicinarsi a c, ma non possono mai raggiungere quel limite! Da qui Einstein giunse a capire che la velocità della luce interrela spazio e tempo. Di conseguenza E = mc 2.
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