Si trova in Sudan e rappresenta il simbolo di una violenza perpetrata su uomini, donne e bambini. Un cimitero che risale a 13.400 anni fa, chiamato Jebel Sahaba!
Già dai primi anni 60, archeologi provenienti da tutto il mondo sono arrivati sulle sponde del Nilo, per continuare a cercare quello che speravano da tempo di trovare. Finalmente ci sono riusciti!
Una violenza senza fine
Il cimitero, in quello che oggi è il Sudan settentrionale, conteneva gli scheletri di 61 tra uomini, donne e bambini. Mentre scavava i loro resti, il defunto archeologo Fred Wendorf della Southern Methodist University notò segni inconfondibili di violenza: ossa rotte, teschi fracassati e proiettili di pietra incastonati nelle ossa delle persone o che giacevano vicino ai loro corpi. Il ricercatore arrivò così alla conclusione che si trattava di vittime di una battaglia o di un massacro. A quel tempo, l’idea della guerra organizzata nel lontano passato era rivoluzionaria. Christopher Knüsel, antropologo fisico presso l’Università di Bordeaux, afferma che:
“La dottrina archeologica prevalente nell’era della pace e dell’amore del 1960 sosteneva che la guerra e la violenza erano invenzioni moderne. C’è stato un lungo periodo in cui gli archeologi sostenevano che la guerra non era mai avvenuta nella preistoria“.
Per decenni dopo la loro scoperta, gli studiosi hanno indicato gli scheletri di Jebel Sahaba come la prima prova di violenza, e persino di guerra, nella profonda preistoria. Ma a quel tempo la scienza dell’antropologia fisica era ancora agli albori e non permetteva di avere delle analisi complete dei dati.
Come viene intesa oggi quella violenza
Cinquant’anni dopo lo scavo originale, nel 2014, Isabelle Crevecoeur, archeologa del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica, ha continuato le ricerche per trovare i tasselli mancanti della storia passata. La ricercatrice ha pensato, infatti, di riesaminare le ossa di Jebel Sahaba per sfatare una volta per tutte la fantasia creata intorno a quel cimitero. Nell’esaminare ogni scheletro, lei e il suo team di antropologi sono riusciti ad identificare più di 100 segni precedentemente sconosciuti di traumi o violenza, comprese le prove di colpi di freccia. Tutti questi dettagli sono venuti alla luce grazie alle nuove tecniche di imaging 3D.
I risultati del team suggeriscono che il cimitero non era una fossa comune risultante da una singola battaglia, ma qualcosa di forse più cupo. Ci sono prove di decenni di violenza sugli scheletri ritrovati, forse avvenuta a causa di frequenti incursioni, attacchi furtivi e imboscate. Crevecoeur identificò numerosi scheletri con ferite sia guarite che non guarite, e persone che erano sopravvissute a un incontro violento solo per essere uccise mesi o anni dopo.
A chi appartenevano gli scheletri?
Gli scheletri di Jebel Sahaba appartengono sia a persone giovanissime che a persone vecchie. Crevecoeur suggerisce che le persone giovani e sane siano assenti perché avrebbero avuto maggiori probabilità di sopravvivere a un’imboscata, sfuggire a un attacco o riprendersi dalle loro ferite. Negli scheletri sono state trovate anche mani e avambracci fratturati, forse subiti quando le persone sono morte cercando di scongiurare i colpi. Alcuni resti hanno prove di colpi di freccia alla schiena, come se le persone fossero state colpite mentre tentavano di fuggire.
Ad analisi concluse, il team ha scoperto che oltre il 60% degli scheletri aveva segni visibili di trauma. Circa 13.000 anni fa, la valle del Nilo, un tempo lussureggiante, cominciò a prosciugarsi. Nel giro di pochi millenni era diventata un’oasi nel deserto lunga centinaia di chilometri e, per la prima volta, le persone che vivevano lungo il fiume dovevano competere per le risorse. Le scoperte della Crevecoeur fecero eco a scoperte in altre parti del mondo, che suggerivano che la violenza era molto più comune nella preistoria di quanto si pensasse una volta. Oggi tutti questi resti di scheletri si trovano al British Museum di Londra.