Il rapido riscaldamento globale sta compromettendo l’ecosistema dell’Artico. Uno dei problemi principali è il disgelo del permafrost. A essere minacciate sono le zone costiere, che collasseranno. In più, questi suoli ghiacciati del Nord sono grandi serbatoi di carbonio e azoto. E i ricercatori del dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali dell’Università finlandese di Jyväskylä hanno trovato una nuova fonte di gas serra in un particolare tipo di permafrost in Siberia chiamato yedoma a cui dobbiamo stare molto attenti. Il caldo estremo in arrivo potrebbe quindi creare molti danni.
Lo yedoma è un permafrost diffuso in Siberia. Essendo un composto di terra e ghiaccio, tende a sciogliersi velocemente. In questi terreni ghiacciati, grazie al freddo estremo, si sono accumulate (e sono tenute in trappola) ingenti quantità di carbonio (C) e azoto (N). E il disgelo del permafrost espone queste sostanze a preoccupanti processi di decomposizione e trasformazione microbica.
Da tempo è noto che il disgelo del permafrost (con il rilascio di carbonio) provoca l’emissione di gas serra, anidride carbonica e metano. Ma dobbiamo fare attenzione anche al rilascio di azoto, che può inquinare l’atmosfera sotto forma di gas azotati, soprattutto come N2O6, un gas trecento volte più potente della CO2. La ricerca dei biologi e dei biochimici finlandesi verte sul concetto che il permafrost di yedoma potrebbe rivelarsi una fonte fatale di protossido di azoto.
Non c’è solo l’anidride carbonica a minacciare l’atmosfera. Dobbiamo considerare anche l’azoto, o meglio il protossido di azoto, un gas serra potentissimo e fino a oggi sottovalutato. La scienza, finora, non se ne è preoccupata più di tanto perché l’ossido di diazoto non sembra abbondante come l’anidride carbonica e il metano. Il caldo in arrivo potrebbe però comportare danni estremi, a livello strutturale e di inquinamento atmosferico. Dobbiamo quindi porre estrema attenzione al fenomeno di scioglimento del permafrost yedoma che si trova in Siberia.
Questo permafrost si è formato su sedimenti eolici, cioè con materiale trasportato dal vento, durante il Pleistocene. In pratica tra i due milioni e mezzo e i centomila anni fa. E non è quindi un terreno qualsiasi. Dentro c’è più carbonio e azoto del normale. In particolare c’è l’ossido di diazoto, che è stato prodotto dai microrganismi del terreno. E questo permafrost si estende su oltre un milione di chilometri quadrati in Siberia. Dato che contiene molto ghiaccio, è un permafrost destinato a sciogliersi con molta facilità.
Sono quindi in pericolo i territori lungo i fiumi artici e della zona costiera, perché lo scongelamento del permafrost yedoma produrrà cedimenti e scarpate ripide, alte decine di metri. In più, da questi cedimenti verranno fuori enormi emissioni di N2O. Questa è la denuncia della biochimica Maija Marushchak, coordinatrice della ricerca.
I finlandesi hanno provato che l’azoto liberato dal permafrost può essere rilasciato nell’atmosfera sotto forma di protossido di azoto (N2O) come gas serra forte (GHG). Poi hanno spiegato in che modo l’N2O sia immagazzinato nel permafrost chiamato yedoma, oggi altamente vulnerabile a causa del caldo. Utilizzando la metagenomica mirata dei geni chiave del ciclo dell’azoto, i ricercatori hanno collegato l’aumento delle emissioni di N2O in Siberia con i cambiamenti strutturali della comunità microbica del permafrost.
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