Napoleone Bonaparte perì sull’isola di Sant’Elena il 5 maggio 1821. Aveva cinquantuno anni. L’autopsia affermò che la causa della morte era certa: tumore allo stomaco. Già sei mesi prima di morire, l’ex imperatore francese lamentava fortissimi dolori allo stomaco. Non mangiava più ed era sempre costretto a letto… Subito si diffusero teorie alternative su quel decesso. In Francia erano convinti che Napoleone fosse stato avvelenato!
Tutti i fedeli di Napoleone erano convinti che il grande generale avesse subito un avvelenamento per arsenico. Napoleone, invece, aveva capito benissimo cosa gli stava succedendo: suo padre era morto così, con un tumore allo stomaco. Perciò fu lo stesso Bonaparte a chiedere al suo medico personale Francesco Antommarchi di eseguire l’autopsia sul piloro al momento della sua dipartita.
Napoleone risiedeva a Longwood House, nell’Isola di Sant’Elena. Era curato da un medico britannico, Barry O’Meara, ma non era contento. Da giorni aveva difficoltà a mangiare e a riposare. Credeva anche che O’Meara non riuscisse a comprendere la causa del suo malessere profondo. Così nel 1820 gli fu assegnato un nuovo dottore, arrivato dalla Corsica. Il medico si chiamava Francesco Antommarchi, ed era stato scelto dai familiari di Bonaparte. Antommarchi capì subito che il generale potesse essere affetto da un tumore, dato che suo padre (Carlo Maria Bonaparte) era morto dello stesso male.
L’autopsia, eseguita da Antommarchi insieme a diversi medici britannici, rilevò la presenza di un’ulcera gastrica cancerosa. Eppure nessuno o quasi accettò quella diagnosi. Gli ex napoleonici, per esempio, credevano che gli inglesi lo avessero avvelenato.
Quelle teorie del complotto, assai diffuse nell’Ottocento, si sono trasformate nel Novecento in vere e proprie investigazioni o ricerche scientifiche. Si è cercato insomma di provare che Napoleone sia morto a causa di un avvelenamento graduale comandato dal Governo inglese o di un attentato (sempre tramite veleno) condotto dal conte Carlo Tristano di Montholon, il marito dell’amante del Bonaparte. C’è anche chi pensa che l’ex imperatore si sia autoavvelenato… Pare infatti che Bonaparte fosse ghiotto di orzata. E ne bevve così tanta da intossicarsi (il latte di mandorle contiene cianuro).
Nel 1955 furono pubblicati i diari di Louis Marchand, il cameriere di Napoleone, in cui aleggiava il forte sospetto che Bonaparte fosse stato avvelenato con dell’arsenico. Così, un dentista svedese di nome Sten Forshufvud, appassionato di tossicologia e di studi napoleonici, ottenne una ciocca di capelli del defunto imperatore e la analizzò. Capì che era presente dell’arsenico. Nel 2001, Pascal Kintz, tossicologo dell’Istituto di medicina legale di Strasburgo, analizzò i capelli del Bonaparte. Lo studio rivelò un livello di arsenico da sette a trentotto volte superiore al livello normale.
Qualche anno più tardi, un altro studio dimostrò però che una simile concentrazione di arsenico era presente in campioni di capelli di Napoleone presi nel 1805, 1814 e 1821 (Nell’Ottocento era di moda donare ad amici e amanti ciocche di capelli, ecco perché ne possediamo tante). Quindi, l’imperatore era sempre stato intossicato. L’arsenico, al tempo, era usato in molte carte da parati, in alcune medicine e nelle lozioni per capelli. Quindi è probabile che Bonaparte fosse sempre stata un portatore sano di livelli estremi di questa sostanza.
A tale critica rispose ancora il dottor Kintz. Si avvalse di tecniche spettroscopiche per dimostrare che l’arsenico era presente anche nel midollo del capello. Ciò, secondo lo studioso, dovrebbe indicare un’origine endogena dell’avvelenamento. Cioè: l’arsenico non proveniva dall’esterno, ma da dentro, dal flusso sanguigno.
La querelle, almeno a livello scientifico, si è conclusa nel 2008, quando l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha reso noti i risultati della propria ricerca effettuata sui capelli di Napoleone risalenti a varie età della sua vita, cioè fin dall’infanzia. Queste analisi hanno evidenziato una stabilità dei livelli di arsenico, paragonabili ai livelli riscontrati nei capelli del figlio Napoleone Luigi e della moglie, cioè l’imperatrice Giuseppina (prelevati dopo la morte). La quantità, seppure alta, non è ritenuta letale.
Secondo molti storici, il livello medio di arsenico nell’Ottocento era cento volte più alto rispetto a quello attuale. E la gente, a quel tempo, era anche più abituata e resistere a questo elemento tossico.
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