L’angoscia e il terrore possono paralizzarci o, al contrario, forzarci all’azione e spingerci ad atteggiamenti più coraggiosi. La teoria della gestione del terrore cerca di spiegare come la paura possa trasformarsi in una potente forza motivazionale. O come, attraverso dinamiche di conservazione, possa indurci all’intolleranza e alla rigidità morale.
L’uomo agisce rispondendo a stimoli e secondo precisi meccanismi psicologici. Molti comportamenti apparentemente spontanei sono in realtà reazioni. E quasi tutti gli umani che si credono razionali compiono determinate azioni solo inconsapevolmente.
La teoria della gestione del terrore
La chiusura cognitiva è quell’atteggiamento di stasi o di rigidità mentale che porta l’uomo a rispondere in modo schematico e prevedibile a ogni tipo di stimolo. In situazioni di minaccia fisica-biologica, si è portati a tendere verso questa chiusura. Si diventa intolleranti, scontrosi, paranoici, oscurantisti. Ci si difende, insomma, bloccando la mente. Quando ci sentiamo sotto pressione e insicuri, tutti ci rifugiamo in schemi e comportamenti stereotipati. E spesso diventiamo persone peggiori. Ma capita anche che il pericolo sia così sconvolgente da stimolare la mente. E così l’angoscia diventa conato per un allargamento di orizzonti. In parole povere, il terrore può aprirci la mente e renderci intraprendenti. Ma come è possibile questo scarto?
Nella teoria della gestione del terrore, anche detta TMT, il termine “terrore” va inteso come ansia esistenziale, ossia come paura nei confronti della vita e della morte. È una condizione sperimentata da tutti. Temiamo la morte, il destino, il dolore, il fallimento, e ci sentiamo costantemente sotto minaccia.
Questa prospettiva è suggerita appunto dalla teoria della gestione del terrore, uno studio di psicologia sociale ed evolutiva originariamente sviluppato da Jeff Greenberg, Sheldon Solomon e Tom Pyszczynski e poi presentato nel libro The Worm at the Core: On the Role of Death in Life (2015) .
L’esperimento
La teoria sostiene che ogni conflitto psicologico, di base, derivi dall’attrito fra instinto di autoconservazione e coscienza della morte come dato inevitabile e imprevedibile. Questo conflitto produce terrore, che viene gestito attraverso una combinazione di evasione e schematismo mentale. Insomma, per contrastare la sua fragile realtà biologica l’uomo cede a dei valori che intende come significativi e duraturi (la fede, il conformismo, la logica, i pregiudizi sociali).
L’esperimento di TMT richiede al soggetto testato di immaginare il proprio cadavere sotto ogni punto di vista (età, colore, aspetto, ferite, prospettiva). Tale esercizio genera nell’individuo una certa dose di ansia, che sarà sfogata con manifestazioni di rigidità, ironia, preoccupazione o nervosismo. Più spesso con espressioni di intolleranza o di conformismo. Studiando queste reazioni possiamo capire molto dell’uomo…
Quando fu condotto quest’esperimento per dimostrare la TMT, furono coinvolti diversi giudici di tribunale. Alla prima metà di essi i ricercatori chiesero di pensare alla propria morte; all’altra metà i ricercatori domandarono invece di controllare le reazioni del primo gruppo. Ci si aspettava che i membri del primo gruppo sperimentale, a differenza del secondo, sperimentassero una condizione di ansia o terrore, che li avrebbe portati a compiere azioni di chiusura cognitiva. E così fu.
Intolleranza e conformismo
I ricercatori si accorsero che nel normale esercizio della loro professione (giudicare i reati), i giudici del primo gruppo erano diventati più intolleranti e rigidi. Perché? Perché la paura della morte lì aveva spinti ad autoconsolarsi aggrappandosi alle certezze dei valori disponibili (la legge, la severità, l’intransigenza). Alcuni soggetti, invece, grazie all’esperimento erano diventati più coraggiosi e aperti: erano quelli che erano stati sottoposti a un test più intenso, e quindi stimolati più in profondità.
La discriminante è l’autostima. Chi ha bisogno di aumentare la propria autostima si conformerà alle leggi del gruppo. Chi si sente sicuro di sé e non ha paura di confrontarsi con l’angoscia (anche se ciò significa stare male e sentirsi più insicuri) può allargare i propri orizzonti e diventare attore di gesti coraggiosi. La maggioranza delle persone, però, tenderà sempre a ragionare in termini di conformismo. E il conformismo coincide quasi sempre con l’intolleranza e con l’egoismo. Ecco cosa suggerisce la teoria della gestione del terrore: l’individuo, di fronte alla coscienza della propria mortalità, tenderà quasi sempre ad aggrapparsi alla propria visione culturale del mondo.