La narrazione biblica dell’Esodo rivela un riscontro storico e documentario? Da secoli gli studiosi cercano di capire quanto possa essere autentico il racconto del biblico viaggio intrapreso dal popolo ebraico dall’Egitto alla Terra Promessa. Numerosi archeologi pensano che buona parte delle vicende dell’Esodo vadano considerate come un mito: per l’esattezza, un mito delle origini, costruito artificialmente, sfruttato da Israele per crearsi un’identità etnografica.
In pratica, gli storici sono convinti che l’antico Canaan fosse abitato da moltissimi popoli semiti, dai quali gli antichi Ebrei avevano volontà e necessità di differenziarsi. Per questo sarebbe sorta la tradizione di un’origine differente: quella di schiavi di origine mesopotamica fuggiti dall’Egitto. E da qui si sarebbe poi sistemato il mito strumentale dell’Esodo.
L’archeologia biblica, di cui il più famoso attore fu lo studioso americano William F. Albright, si è sviluppata solo a metà del Novecento. Da sola cerca di confermare che le storie raccontate dalla Bibbia hanno un fondamento reale e dimostrabile. Tutte le altre campagne archeologiche e scientifiche, invece, sembrano orientate a un rifiuto totale o parziale delle informazioni ricavate dal testo sacro.
L’Esodo, dalla Bibbia alle prove archeologiche
Oltre alla Bibbia non abbiamo molte fonti documentali che parlino della fuga degli Ebrei dall’Egitto. Quasi sicuramente, poi, il Libro dell’Esodo contenuto nella Torah è stato redatto all’epoca del ritorno in Giudea dei deportati dell’esilio babilonese, e quindi nel V secolo a.C., mentre la fuga ebraica dovrebbe risalire al XIII secolo a.C. Analizzando solo la Bibbia, dobbiamo quindi cercare riscontri oggettivi con la storia, per capire se la narrazione possa essere compatibile con un documento oggettivo. Partiamo dal faraone che schiavizzava gli Ebrei. Secondo l’Esodo, a regnare sull’Egitto c’era Ramses II (che appunto visse nel XIII secolo a.C.), il faraone che ordinò la strage degli israeliti quando Mosè era in fasce. Questo faraone fece costruire la città di Pi-Ramses e ampliare Pitom, luoghi che sono nominati nel Libro dell’Esodo.
E come documenti extrabiblici? Di cosa disponiamo? Abbiamo la famosa stele di Merenptah (risalente alla fine XIII secolo a.C.), che parla di un popolo chiamato ysrir che abitava nel Canaan. La stele fu fatta modificare da Merenptah, figlio di Ramses II, cioè il faraone che si scontrò con Mosè. Poi, nel papiro di Ipuwer, rinvenuto nel 1909, risalente sempre al XIII, si parla di cataclismi naturali simili alle piaghe narrate nel Libro ebraico.
Fuga reale o inventata
Non abbiamo altre prove che possano confermarci la presenza in Egitto di una popolazione semita che poi si rifugiò in Palestina. Sappiamo però che, interpretando alla lettera la Bibbia, dovremmo datare questa fuga al XIII secolo a.C., durante il regno di Merenptah, appunto.
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Oltre alla fonte ebraica e ai due reperti di cui abbiamo parlato non ci sono prove archeologiche dell’Esodo né riferimenti alla schiavitù israelita nelle fonti dell’antico Egitto. Sembra infatti molto strano che nessun documento egizio abbia mai menzionato esplicitamente la fuga di un intero popolo (la popolazione ebraica, secondo la Bibbia era circa di tre milioni di schiavi) e l’annientamento dell’esercito egiziano, inclusa la sua cavalleria. Non vi è traccia di questi eventi neanche dei documenti dei popoli stranieri. Anzi, sappiamo che sotto Merenptah l’Egitto prosperò ed ebbe un esercito potente…
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Ecco perché ricerche archeologiche più approfondite, in Egitto, nel Sinai e in Palestina potrebbero essere molto utili da un punto di vista squisitamente storico. Se il popolo ebraico ha davvero vagato nel deserto del Sinai per quarant’anni per poi giungere nella terra di Canaan, qualche traccia dovrebbe essere rimasta.