Guardare all’interno dei vucani, fino al loro cuore. È possibile. Per farlo, gli scienziati hanno imparato a sfruttare alcune particelle elementari: i cosiddetti muoni. Tramite questi leptoni possiamo analizzare l’interno di luoghi inaccessibili. Come i vulcani, per esempio.
Nel cuore dei vulcani grazie ai muoni
I muoni sono particelle elementari con carica elettrica negativa e spin pari a 1/2, caratteristico dei fermioni. Per rapprentarli, la scienza usa la lettera greca, che per convenzione pronunciamo “mu”.
Parliamo di leproni perché i muoni, come l’elettrone, il tauone e i neutrini, appartengono a questo gruppo standard. La maggior parte dei muoni raggiunge la Terra attraverso i raggi cosmici. Quando questi raggi superano gli strati superiori dell’atmosfera, generano infatti dei pioni (particelle mediatrici dell’interazione forte fra nucleoni), che al momento di decadere si trasformano in muoni e neutrini. Oggi queste particelle vengono utilizzate per “spiare” nei vulcani, sottoterra e persino nelle piramidi. Ma per quale motivo?
Come dicevamo, i muoni sono particelle con carica negativa e massa di oltre duecento volte quella degli elettroni. Grazie a questa massa, e soprattutto al fatto che viaggiano quasi alla velocità della luce, i muoni attraversano qualsiasi cosa, ogni oggetto. In media, ogni minuto, ogni metro quadro di superficie terrestre è colpito da oltre diecimila muoni. Per questo motivo, gli scienziati possono sfruttare tali particelle per analizzare l’interno di luoghi inaccessibili, come i vulcani o come le grandi piramidi egizie.
Muografia
La tecnica in questione si chiama muografia. È come un radiografia, per dirla in parole povere, ma realizzata grazie ai muoni. In pratica, si traccia il numero di muoni che attraversano il volume obiettivo per determinare la densità della struttura interna inaccessibile.
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Visto che i muoni hanno meno probabilità di interagire, fermarsi e decadere in materia a bassa densità rispetto alla materia ad alta densità, è matematico che un numero maggiore di particelle viaggerà attraverso le regioni a bassa densità degli oggetti bersaglio rispetto alle regioni a più alta densità. Così degli apparati specifici registrano la traiettoria di ciascun evento per produrre un muogramma: un’immagine ricostruita di un oggetto, anche enorme.
Ci sono ricercatori che utilizzano questa tecnica per scrutare all’interno dei vulcani. Abbiamo già muogrammi dell’Etna, dello Stromboli, del giapponese Sakurajima e del Soufrière, in Guadalupa.
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Di norma si vola con un drone o un elicottero sull’obiettivo, in questi casi su un lato del vulcano, per captare le particelle che erano entrate trasversalmente sull’altro lato della montagna. Così si ottiene la radiografia che mostra laghi e canali di lava, ma soprattutto i movimenti piroclastici, che sono utili per le previsioni sulle eruzioni.