La figura di Ponzio Pilato, al di là del largo spazio che occupa nel racconto evangelico, è abbastanza opaca e misteriosa. Le fonti storiche romane ne parlano a stento. Sappiamo che fu prefetto della Giudea, per circa dieci anni, durante l’impero di Tiberio, e che intorno all’anno 30 processò Gesù Cristo decretandone la crocifissione.
Dunque ricordiamo Ponzio Pilato principalmente per il ruolo che ebbe nella crocifissione di Gesù. Quasi ogni dettaglio sul suo agire proviene da fonti cristiane, come i Vangeli, o da altri testi dalla dubbia autenticità (gli amanuensi potrebbero averli manomessi nel Medioevo). In realtà, il suo nome compare anche in Tacito. La sua figura è stata spesso giudicata come ambigua. Gli si rimprovera l’indecisione e l’essersi piegato alla volontà dei sacerdoti e del popolo giudeo. Per alcune tradizioni, come quella copta ed etiope, Pilato credeva in Cristo e quindi fu un martire e un santo. Per il Cattolicesimo è un peccatore. Secondo il Vangelo di Matteo, Ponzio Pilato condannò Gesù giudicandolo reo di blasfemia. E questa sua condanna motiva il suo gravissimo peccato.
L’unica fonte autentica che abbiamo su Pilato è un breve accenno presente negli Annali di Tacito. Forse lo stesso Tacito aveva parlato più diffusamente in altri due libri della sua grande opera ma questi libri sono andati perduti. Tutte le altre fonti sono collegate in qualche modo alla tradizione cristiana. Abbiamo i Vangeli, le lettere di Ignazio di Antiochia scritte all’inizio del II secolo, le Guerre giudaiche di Flavio Giuseppe, che però potrebbero essere state alterate, e un frammento di Filone di Alessandria che ne parla come un uomo vicino all’ambasciatore giudeo a Roma.
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Per lunghi secoli gli storici hanno quindi messo in dubbio la realtà di questa figura. Poi nel 1961, un operaio israeliano, nei pressi di Cesarea, ha ritrovato un’epigrafe romana con la frase “Pontius Pilatus, Praefectus Iudeae“.
Secondo gli storici il nome di Ponzio è di origine sannita. Il cognomen, invece, dovrebbe derivare dalla parola pileus, che designava un copricapo indossato dagli schiavi nel momento della liberazione: ciò fa sospettare che i suoi antenati fossero stati dei liberti.
Quest’uomo dovrebbe essere stato mandato in Giudea come prefetto, per sostituire Valerio Grato. A nominarlo dovrebbe essere stato Seiano più o meno intorno al 26 d.C., poi dovrebbe essere stato destituito nel 36, prima della conclusione del suo mandato. A richiamarlo dovrebbe essere stato l’imperatore Caligola, forse sotto richiesta di Erode. Il re giudeo Erode era infatti un amico del giovane imperatore romano, e aveva molta influenza su di lui. Non conosciamo la fine di Pilato. Secondo alcuni interpreti, Caligola giustiziò Pilato. Per altri, il prefetto morì suicida dopo essere stato esiliato in Gallia. Per gli etiopi si è convertito al cristianesimo ed è diventato un anacoreta insieme alla moglie Claudia.
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Ciò che rimane più documentato, almeno dal punto di vista religioso, è il ruolo che svolse nella passione di Gesù. Secondo i Vangeli fu il giudice che decretò la crocifissione. All’inizio, però, si rifiutò di condannarlo, convinto che Cristo non fosse colpevole. In seguito si “lavò le mani”, così come viene narrato, cedendo di fatto alle richieste dei sadducei che volevano la morte del Nazireo. Se vi interessa approfondire questa figura storica, oltre ai Vangeli vi consigliamo la lettura del romanzo Il Maestro e Margherita, di Michail Bulgakov, che tratta a lungo della storia del prefetto.
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