I sette vizi capitali rappresentano per i cristiani i comportamenti più odiosi e imperdonabili di cui un uomo si può macchiare. Ma come sono nati? Sapevate che questi vizi non sono mai, neanche una volta, menzionati nella Bibbia?
I vizi capitali e la loro storia
Come raggruppamento e classificazione, i vizi capitali nascono come opposizione alle sette virtù celesti. Il concetto di peccato è di matrice giudaico-cristiana. Gli antichi Greci e Romani non conoscevano il sentimento e il termine di peccato. Consideravano però la negatività dei comportamenti empi, da cui nascevano dei vizi, che il filosofo Aristotele descrisse come “abiti del male”.
In base alla concezione aristotelica, i primi cristiani (probabilmente i monaci eremiti del IV secolo) diedero forma alla lista che oggi conosciamo. Si dice appunto che il monaco egiziano Evagrio Pontico identificò sette o otto pensieri o spiriti malvagi da vincere. Dall’Egitto, la lista arrivò in Europa dove divenne centrale per la dottrina cristiana.
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Possiamo definire i vizi capitali come un elenco di inclinazioni o comportamenti sgraditi alla Chiesa e nocivi per l’anima umana. Contrapposizioni alle virtù che distruggono il bene e corromperebbero l’uomo. Vengono infatti descritti come cause dei più gravi peccati. Vengono detti vizi in quanto errori, degenerazioni e cattive abitudini. La parola vĭtĭum, in latino, significa appunto mancanza, difetto, abitudine deviata. L’aggettivo “capitali” rimanda alla loro gravità. Come abbiamo detto, già il filosofo Aristotele isolò dei vizi, che definì “abiti del male”.
Dai logismoi al saligia
Il primo monachesimo individuò gli “spiriti o pensieri malvagi” (logismoi) che corrompevano l’uomo: gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria e superbia. La tristezza è scomparsa? No, i teologi l’hanno in seguito eliminata, o meglio accorpata all’accidia. Lo stesso vale per la vanagloria, che è stata assorbita dalla superbia. L’invidia, invece, venne aggiunta successivamente, in pieno Medioevo, con Tommaso d’Aquino. Riassunti con l’acronimo saligia, i vizi capitali sono quindi la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’ira e l’accidia.
Per superbia intendiamo la presunzione, una convinzione della propria superiorità, che diventa causa di un atteggiamento disprezzante o altezzoso o irrispettoso. L’avarizia è collegata al bisogno di accumulare ricchezze, alla scarsa generosità, all’attaccamento morboso agli oggetti materiali. La lussuria è l’irrefrenabile desiderio del piacere sessuale. Sfocia nella perversione e nella depravazione. L’invidia è il risentimento verso la felicità altrui. La gola è la bramosia di ingozzarsi con cibi e bevande, ma in generale questo vizio riguarda ogni abuso, ogni superamento dei limiti imposti dalla natura. L’ira non è soltanto la rabbia: è la sfrontatezza, la tracotanza, la voglia di avere ragione a tutti i costi. L’accidia è la pigrizia, l’inerzia di chi preferisce l’attesa all’azione, l’indolenza alla responsabilità.
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Una delle prime rappresentazioni dei vizi capitali si deve a Giotto. A Padova, nella parte bassa delle due pareti laterali della Cappella degli Scrovegni vediamo le allegorie dei sette vizi capitali (Stultitia, Inconstantia, Ira, Iniusticia, Infidelitas, Invidia, Desperatio) contrapposte alle relative virtù (Prudencia, Fortitudo, Temperantia, Iusticia, Fides, Karitas, Spes). La fortuna di questi concetti dipende anche da Dante e dalla sua Divina Commedia. Nel capolavoro dantesco i dannati sono confinati in cerchi dedicati ai sette vizi capitali. E in ogni circolo avvengono punizioni secondo la regola del contrappasso: si punisce l’anima dei dannati mediante il contrario della loro colpa o per analogia a essa.