Dopo due millenni scoperte interazioni tra organismi acquatici risalenti alla prima guerra punica. Siamo in Sicilia, in un rostro di una galea affondata durante quel periodo. Quali altri segreti avrà nascosto per tutto questo tempo?
Gli archeologi hanno rinvenuto un ricco e complesso ecosistema all’interno di un rostro risalente al periodo delle guerre puniche. Hanno scoperto una microcittà sottomarina composta da oltre cento invertebrati: questo permetterà di studiare come e in quanto tempo avviene la colonizzazione dei reperti archeologici da parte degli animali marini.
La nave cartaginese è il reperto più antico finora studiato per quanto riguarda il proliferare della vita al suo interno, e rappresenta uno straordinario viaggio nel tempo di grande interesse archeologico. Il rostro è fatto di bronzo, è lungo 90 cm, pesa 170 kg e risale al 241 a.C., la nave su cui si trovava è stata distrutta durante lo scontro tra Roma e Cartagine in quella zona del Mediterraneo.
Gli archeologi della Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia e i sub della Global Underwater Explorers hanno recuperato il rostro a 90 metri di profondità, sul fondale tra le isole di Levanzo e Favignana. Lo hanno ribattezzato con il nome di Egadi 13.
Durante il restauro è stata trovata un’iscrizione scritta in cartaginese che, però, non è ancora stata decifrata. Questa si trova sulla parte esterna dell’arma, ritrovata tappezzata da sedimenti di materiale biologico prodotto da organismi marini. Essendo rimasto sott’acqua per ben 2.200 anni, il rostro aveva intrappolato al suo interno gusci di animali e strutture calcaree formatesi spontaneamente.
Un team di biologi marini italiano, guidato da Maria Flavia Gravina biologa dell’Università Tor Vergata di Roma, ha svolto un lavoro certosino di rimozione, asciugatura e setaccio delle vari parti del rostro che, successivamente, sono state analizzate al microscopio. Dalle analisi sono stati scoperti al suo interno:
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Secondo la biologa marina Gravina lo è, perché rappresenta e descrive la storia della vita nel mare indipendentemente dalle attività umane. La studiosa afferma che:
“ L’aspetto più intrigante per noi biologici è tradurre quello che il mare ci dice attraverso gli organismi che ci vivono: come nascono, dove si muovono, come colonizzano gli spazi, come si riproducono e come muoiono. Queste, per noi, sono le informazioni che ci servono per imparare a interpretare il linguaggio e la storia del mare”.
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Gli animali acquatici coinvolti hanno avuto ruoli diversi: chi è stato costruttore, attaccandosi alla superficie del rostro, chi ha agito da ponte, organizzando colonie tra le strutture calcaree e chi, invece, si è mosso liberamente fra le cavità e i cunicoli del relitto. Questi animali rappresentano una perfetta comunità acquatica del Mediterraneo degli ultimi 2.000 anni di storia, una sorta di memoria ecologica di ciò che è stato.
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