Il mondo sarebbe stato molto diverso da come lo conosciamo se Walt Disney non fosse mai nato. Il papà di Topolino ha cambiato la nostra cultura, caratterizzato il nostro immaginario e creato un universo fantastico immortale. Disney fu un sognatore, un ottimo artista e un talentuoso imprenditore. Ma in molti lo descrivono come un personaggio pieno di contraddizioni. Si dice che avesse un pessimo carattere e che si comportasse da tiranno. Scopriamo di più sull’uomo che ha dato vita all’impero Disney.
Spesso gli uomini dal talento straordinario sono difficili da definire in poche parole. La loro creatività, i loro progetti e l’entusiasmo e l’ostinazione con cui perseguono i loro obiettivi li rendono forse diversi da chiunque altro e contraddittori. Lo stesso vale per Walt Disney, un uomo popolarissimo, che amava mostrarsi come uno spirito ingenuo e allegro, pulito e rassicurante, ma che in realtà manifestava comportamenti eccentrici e non sempre positivi dal punto di vista morale. Si racconta che una volta Disney confessò a un amico: “Io non sono Walt Disney. Faccio molte cose che Walt Disney non farebbe. Walt Disney non fuma, io sì. Walt Disney non beve, io sì”.
Per preservare l’immagine pulita dell’azienda, si narra che Disney proibì a tutti i suoi dipendenti di portare i baffi, anche se lui stesso sfoggiasse orgoglioso dei bei baffetti. Nei suoi fumetti e nei suoi cartoni metteva sempre al centro la tolleranza e i buoni sentimenti. Eppure non fu mai un uomo tollerante (si dice che fosse un antisemita e un razzista) e neanche generoso. In più, tutto il suo universo fantastico era incentrato su un’ideale d’infanzia idilliaco, quando in realtà la sua giovinezza fu caratterizzata da momenti difficili, dolori, fatica e sudore.
La famiglia Disney viveva in una fattoria di oltre duecento ettari e il piccolo Walt era impiegato come raccoglitore nei campi. Nel 1911 si trasferì con la famiglia a Kansas City, e lì, già a dieci anni, il bambino iniziò a lavorare per aiutare il padre a consegnare giornali. Ogni mattina si svegliava prima delle cinque e a scuola non andava quasi mai. E quando ci andava, ovviamente si addormentava sul banco. L’unica materia in cui il giovane Disney eccelleva era l’educazione artistica. A ventidue anni, Walt lasciò la famiglia per raggiungere Hollywood. Sognava di diventare un famoso fumettista, ma divenne molto di più. Un’icona, un magnate, una leggenda americana.
I primi passi nel mondo artistico li mosse con l’amico Ub Iwerks. Insieme realizzarono cortometraggi che chiamavano Laugh-O-grams. Con quel progetto, Walt provò a sfondare in California, e ci riuscì. Disney si fece strada in fretta, e nel 1923 fondò insieme al fratello una sua casa di produzione, la Disney Brothers Cartoon Studio.
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Grazie al personaggio di Topolino, Walt divenne una star internazionale e un illustratore richiestissimo. Passò presto ai cartoni e poi ai film. Diventando ciò che sappiamo sia stato: un vero e proprio rivoluzionario del settore culturale e dell’industria dell’animazione. Ma già da giovane Disney compì i primi passi falsi. Produsse per esempio Song of the South, a noi giunto con il titolo I racconti dello zio Tom, un film razzista che cerca di far passare l’idea che gli schiavi neri fossero felici di lavorare nelle piantagioni del Sud.
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Sul razzismo di Disney non abbiamo fonti certe ma solo interpretazioni e testimonianze indirette. Ma è indubbio che in alcuni suoi lavori siano presenti alcuni particolari un po’ equivoci. Ne I Tre Porcellini, il Lupo Cattivo si presenta vestito da venditore ambulante ebreo. Poi, in The Opry House vediamo una versione di Topolino vestito da ebreo chassidico. In Sunflower c’è un centauro di colore che serve come uno schiavo altri centauri dalla pelle bianca. In Dumbo compaiono dei corvi, ritratti come caricature di afroamericani, il cui leader si chiama Jim Crow, maschera con la quale gli attori bianchi scimmiottavano gli schiavi neri.
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