Secondo gli scienziati si tratterebbe di “scambio di identità”, problema derivato da una male identificazione visiva
Lo squalo che attacca l’uomo nelle acque del mare è una condizione permeata nell’immaginario collettivo. Ad aiutare di sicuro la tradizione tramandata per racconti e la vasta filmografia a tema – ad esempio Lo squalo di Spielberg o Paradise Beach –Dentro l’incubo con protagonista Blake Lively, Serena di Gossip Girl -. Di sicuro si tratta un pericolo reale che si corre soprattutto in Australia, coste del Pacifico e Sud Africa. Eppure il trend degli attacchi da parte degli squali all’uomo – come riportato nell’archivio dell’International Shark Attack File (ISAF) – non è così significativo rispetto a quelli da parte di altre specie, nel 2020 si sono registrati 10 colpi letali in tutto. Con più precisione, dal 1993 in poi sono stati registrati più casi rispetto al passato. Ciò non è strettamente correlato all’aumento di incidenti di tale genere, ma dall’inizio della raccolta di dati in merito.
Gli squali vanno in confusione e confondono gli uomini sulla superficie marina per grandi prede
L’uso di tavole da surf, pinne e piccole imbarcazioni rendono tutto più confuso agli occhi degli squali. A confermarlo uno studio pubblicato sul The Royal Society che mette in evidenza come gli squali abbiano una visuale del tutto distorta degli altri ospiti del mare. Un surfista sulla superficie marina – i più attaccati secondo le statistiche – è visto da uno squalo dal basso, questo non permette all’animale di distinguerlo da un pinnipede. Ebbene sì, gli squali sono predatori e ci scambiano semplicemente per foche: cibo! Entrare nell’ottica di uno squalo non è difficile, dall’interno dell’acqua tutto appare diverso e un uomo in tavola, soprattutto nella fase di nuoto, è scambiabile per una foca dal corpo allungato dalle forme arrotondate. Confusione che si innesca osservando dalla prospettiva sbagliata.
Specie a rischio, le conseguenze violente degli attacchi per uomo e squali
Non è difficile immaginare il dramma che ne consegue da un morso di squalo per un uomo, nel migliore dei casi c’è bisogno di ricorrere a terapie farmacologiche e operazioni specifiche e lunghi percorsi riabilitativi. Infatti gli squali, soprattutto quelli bianchi, hanno la caratteristica di sferrare un primo colpo, allontanarsi e lasciare che la vittima sanguini per poi ritornare e finire l’operazione.
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Non sempre ciò accade perché gli studiosi hanno constatato una maggiore violenza dell’attacco predatorio verso le reali prede (foche soprattutto). Questo sarebbe spiegato dalla teoria dello scambio di identità definita come “Mistaken identity theory”, lo squalo commetterebbe un errore di percezione, attaccherebbe l’uomo confondendolo per una preda e, una volta constatato il contrario, l’interesse verso l’uccisione vera e propria dell’uomo diminuirebbe.
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Ma cosa succede agli squali dopo un attacco? Le conseguenze per le specie sono catastrofiche, basta un incidente per dare inizio alla caccia di questa categoria di animali già fortemente colpita da odio, fobie e atti di sciacallaggio. L’esemplare in questione viene – per la maggiore – abbattuto e così gli altri che tendono di avvicinarsi alle coste. A peggiorare la situazione è l’età degli squali che vengono “giustiziati”, solitamente a scegliere la preda sbagliata sono gli esemplari più giovani e inesperti, i candidati migliori a far proseguire le specie.