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Alimentazione

ADHD | Ultime scoperte sulla sindrome da deficit di attenzione e iperattività.

Published by
Daniela Gécchele

ADHD, una sindrome ancora non ben nota, un disturbo che potrebbe essere paragonato ad un animale giocoso ed energico. Un qualcosa di ingombrante, disattento e libero, che tra i suoi sintomi può innescare ed esacerbare anche gravi problemi di peso. Ma cosa dicono gli ultimi studi al riguardo?

ADHD e obesità, le ultime scoperte – curiosauro.it

ADHD e obesità

Decenni di ricerca mostrano una forte correlazione tra ADHD e obesità, così forte, che chi ne soffre ha quattro volte più probabilità di diventare obeso rispetto a qualcuno che non ne è affetto.

La chimica del cervello, lo scarso controllo degli impulsi e le abitudini di sonno irregolari cospirano per incoraggiare un’alimentazione malsana e per rendere impossibile la perdita di peso. Ciò non significa che un individuo con ADHD sia condannato a una vita di obesità.

Nonostante la loro presunta iperattività, le persone con ADHD sono meno attive fisicamente, mangiano cibi meno sani, e hanno BMI più alti rispetto alle persone che non ne soffrono. Questo perché i sintomi della malattia rendono difficile:

  1. Concentrarsi a scuola.
  2. Gestire e avere successo nel lavoro.
  3. Costruire delle relazioni sane.
  4. Mangiare regolarmente.
  5. Fare esercizio fisico seguendo un programma regolare.
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Le problematiche del peso legate all’ADHD

La patologia dell’ADHD presenta delle specifiche problematiche legate al discorso del peso corporeo. Tra queste, ricordiamo le più note:

  • Deficit della funzione esecutiva.

Per mantenere un peso sano sono necessarie delle solide capacità di funzionamento esecutivo, in particolar modo per pianificare dei pasti equilibrati senza incorrere in cibo ingerito a caso e di corsa. Le persone con ADHD hanno funzioni esecutive naturalmente più deboli, il che rende molto più faticoso iniziare una sana routine quotidiana.

  • Impulsività.

L’ADHD e l’impulsività non sono sinonimi, ma gli individui che ne soffrono conoscono l’effetto devastante che può avere sulla loro salute. Queste persone, infatti, non riescono a gestire correttamente gli impulsi legati al cibo, e diventa molto difficile per loro rinunciare ad una ciambella o ad alimenti ricchi di grassi.

  • Scarsa consapevolezza interocettiva.

La consapevolezza interocettiva ci aiuta a percepire ciò che sta accadendo all’interno dei nostri corpi, che si tratti di segnali di fame, marcatori di sete o affaticamento fisico. Una persona con ADHD, tuttavia, è orientata verso l’esterno, sempre alla ricerca della prossima fonte di stimolazione. Di conseguenza, potrebbe avere difficoltà a prestare attenzione e dare un senso a ciò che il suo corpo le sta dicendo. Per esempio, la fame potrebbe essere scambiata per noia o altro!

  • Cattive abitudini del sonno.

Un cervello costantemente su di giri troverà difficile spegnersi alla fine della giornata e addormentarsi, quindi non sorprende che l’ADHD porti con sé un sonno fitto o disordinato. E si sa che la privazione del sonno è un fattore importante nella promozione dell’obesità. Quando i nostri corpi sono privati del sonno, infatti, il nostro cervello rilascia ormoni che ci spingono a mangiare troppo, in particolare cibi malsani ad alto contenuto di grassi e zuccheri.

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La procrastinazione e i bassi livelli dei neurotrasmettitori

Procrastinare è la tendenza a rimandare i compiti noiosi e chi soffre di ADHD compie il cosiddetto fenomeno procrastinante. Questo riguarda sempre il cibo, perché per un malato aspettare e divorare una pizza di formaggio è infinitamente più interessante di quanto non lo sia scrivere una tesina. Pertanto, lo spuntino diventa una forma allettante, anche se malsana, di procrastinazione.

Chi soffre di ADHD ha anche bassi livelli di neurotrasmettitori. Le sostanze chimiche dopamina e GABA, infatti, esistono in quantità insufficienti nel cervello di queste persone. La dopamina regola e promuove l’eccitazione: bassi livelli provocano un cervello sotto-eccitato e annoiato.

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GABA, invece, controlla l’inibizione. Una persona con livelli adeguati di questi neurotrasmettitori può in genere impedirsi di mangiare un’intera scatola di biscotti, invece, chi ha un basso livello di GABA, non riceve i segnali cerebrali che lo avvisano di potenziali danni a lungo termine. Il cervello dei malati, infatti, si concentra solo su quanto siano deliziosi e stimolanti quei biscotti nel momento presente.

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Daniela Gécchele

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