Negli anni ’30 i pantaloni neozalendesi prendevano fuoco. Proprio così. In quel periodo del Novecento, in Oceania, furono denunciate molte vicende spiacevoli collegate a esplosioni di pantaloni. Come fu possibile?
Nelle aree rurali della Nuova Zelanda, negli anni ’30, le campagne e i pascoli vennero infestati dal senecione di San Giacomo (Jacobaea vulgaris), una pianta odiosa, che avvelenava il bestiame e distruggeva tutti i raccolti. Contadini e allevatori neozelandesi erano in ginocchio. Per risolvere il problema, molti cittadini usarono il clorato di sodio, un diffuso diserbante. Il clorato, in effetti, permetteva di eliminare queste piante dannose in modo selettivo ed efficace. Ma ci fu un problema marginale che presto si trasformò in vera e propria emergenza per la salute pubblica.
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Da un giorno all’altro, infatti, contadini e allevatori cominciarono a subire pericolosi incidenti: i loro pantaloni esplodevano. Misteriosamente, secondo le cronache dell’epoca, questi capi prendevano fuoco o scoppiavano. I giornali parlarono a lungo di un uomo che accese un fiammifero per far luce in casa. I suoi pantaloni esplosero, e la casa andò a fuoco. Il povero contadino morì.
Il clorato di sodio è un prodotto estremamente pericoloso. Per due motivi fondamentali. Uno: è una sostanza ad alto indice di volatilità. Ciò vuol dire che, quando veniva mescolato all’acqua e poi spruzzato sulle piante, andava a depositarsi sui vestiti degli agricoltori. In particolare, sui pantaloni.
Il liquido, evaporando, creava delle scie di cristalli infiammabili. Il secondo motivo di pericolosità è appunto legato all’infiammabilità di questi cristalli (che in chimica sono definiti chirali enantiomeri). Sottoposti a fonti di calore o a frizione, questi cristalli potevano reagire chimicamente con le fibre organiche dei tessuti, per esempio il cotone o la lana, e dare vita a violenti incendi.
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Nei peggiori dei casi, in Nuova Zelanda i campagnoli subirono delle vere e proprie esplosioni. Il problema fu risolto in breve tempo. Qualcuno capì che doveva entrarci il clorato. Questa infatti era l’unica spiegazione plausibile con cui giustificare il fenomeno di autocombustione o esplosione dei pantaloni. Questi capi, a ben vedere, scoppiavano o s’incendiavano in presenza di fuoco, oppure quando i contadini andavano a cavallo. In effetti anche la frizione con la sella era sufficiente per innescare un’esplosione tremenda. Oggi, il clorato di sodio, ovvero il sale di sodio dell’acido clorico, è considerato un composto nocivo.
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