Degli studi su un elmo etrusco, dimenticato per anni in un museo, rivelano dettagli interessanti e inaspettati sulla storia antica. Quell’elmo era protetto da una teca da almeno novant’anni, e nessuno aveva mai voluto o potuto studiarlo a dovere. Nessuno, per esempio, aveva notato l’incisione presente al suo interno. Un particolare che rende questo reperto raro e, soprattutto, storicamente rilevante. Infatti, sono pochissimi gli elmi di epoca etrusca conosciuti dagli archeologi…
L’archeologia ha portato alla luce in passato un grande deposito rituale di centocinquanta elmi gentilizi (a Vetulonia, e all’inizio del ‘900) di epoca etrusca. Per il resto, grazie agli scavi nazionali sono stati scoperti in tutto non più di dieci elmi di fattura italica, risalenti al periodo che va dal VI al III secolo a.C.. Adesso però è sbucato fuori questo nuovo elmo: un reperto che racconta un’interessante storia.
Il pezzo è stato forgiato nel bronzo a Perugia, poco prima della metà del IV secolo a.C.; molto probabilmente fu indossato come protezione da un soldato non nobile, forse da un mercenario. Da lì è arrivato a Vulci, un’antica e importante città etrusca nel territorio di Canino e di Montalto di Castro (in provincia di Viterbo), dove fu conquistato da un secondo guerriero, che poi se lo portò nella tomba. Novant’anni fa quest’elmo fu ritrovato in uno scavo e portato in un museo romano (il Museo Etrusco di Villa Giulia). Solo ora, dopo quasi un secolo, dei ricercatori hanno notato e interpretato un’iscrizione presente all’interno del manufatto. Quest’interpretazione ha un formidabile valore documentario, giacché ci illumina su un mistero risalente a 2400 anni fa.
Tutto è cominciato nel 2019 quando una équipe di ricercatori neozelandesi ha chiesto a Valentino Nizzo, direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, di poter digitalizzare in 3D le armi antiche conservate in bacheca e nei depositi. Un dipendente del museo, tirando fuori il vecchio elmo, ha notato qualcosa: un’iscrizione. E così ci si è accorti che si trattava di un particolare mai studiato. Sette lettere in tutto, graffiate nel bronzo. Una parola misteriosa: harn ste.
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Dobbiamo a Ugo Ferraguti e Raniero Mengarelli il ritrovamento dell’elmo. I loro scavo iniziò intorno al 1928, all’interno della tomba 55 nella necropoli dell’Osteria di Vulci. E forse al momento della scoperta il bronzo doveva essere incrostato di terra e ossidato, quindi illeggibile. Anche il restauratore che all’epoca lo ha ripulito non si è accorto di niente.
Ora il copricapo è stato sottoposto a una nuova pulizia condotta dalla restauratrice del museo, Miriam Lamonaca. Intanto il direttore si è messo al lavoro per interpretarne il significato. L’ipotesi è che Harn ste sia un nome, o meglio un gentilizio derivato da un toponimo, ovvero un riferimento che indica la città di provenienza della persona. E quale sarebbe questo luogo? Probabilmente l’antica Aharnam, ossia Civitella d’Arna, quartiere antico di Perugia.
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Chi era il proprietario di quell’elmo? Forse un soldato mercenario di Civitella d’Arna che si è spostato a Vulci, per fare la guerra. Ma qui, quest’uomo potrebbe essere stato sconfitto. Infatti, secondo gli esperti, se l’elmo è stato trovato in una tomba di un signore ricco, vuol dire che era passato di mano. Era stato conquistato da un altro guerriero, magari un nobile.
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