Alcuni archeologi hanno scovato in Inghilterra il caso più antico di crocifissione mai conosciuto dalla storia. Dunque, la crudele pena capitale applicata dai Romani, e divenuta il simbolo mistico del Cristianesimo, ha una nuova prova archeologica relativa a un condannato morto millenovecento anni fa.
La crocifissione era una forma di esecuzione capitale usata dagli antichi Romani. Fra i supplizi era quello più mortificante e cruento, e infatti non poteva mai essere applicato a un cittadino romano. I soli a essere crocefissi erano gli schiavi, i sovversivi e i forestieri. Secondo i commentatori antichi, questa pratica veniva da Cartagine, ma i Romani se ne appropriarono con immediato slancio. Roma innalzò croci (prima a un solo palo, la crux simplex, poi a pali perpendicolari) in momenti molto critici della propria storia.
Ad esempio, morirono crocefissi i seimila compagni di Spartaco, schiavi ribellatisi negli anni dal 73 al 71 a.C. alla Repubblica. Pochissime sono le testimonianze archeologiche di questa pratica. Qualche giorno fa, però, degli archeologi inglesi hanno ritrovato lo scheletro di un uomo crocifisso millenovecento anni fa, con un grosso chiodo ancora conficcato in un tallone. I resti sono stati scovati in una delle tombe romane dell’area di Fenstanton, tra Cambridge e Huntingdon.
Fenstanton è un sito archeologico venuto alla luce durante la costruzione di un nuovo complesso residenziale. Lo scheletro con segni di crocifissione è il terzo caso di reperto “crocifisso” documentato a livello archeologico nel mondo, dopo quelli di Israele e Italia. Il reperto inglese sembra il più completo dei tre. Lo studio degli scavi è stato pubblicato dalla rivista British Archaeology. Interessante è il ritrovamento del chiodo, ancora conficcato nell’osso del tallone. Si tratta di uno spuntone di ferro lungo almeno cinque centimetri. E in base a questo dettaglio gli archeologi potranno datare con più precisione il reperto.
Gli archeologi del Cambridgeshire, nel Regno Unito, hanno dunque scoperto quella che potrebbe essere la prova fisica meglio conservata di una crocifissione. Lo scheletro, che ha un’età di circa millenovecento anni, dovrebbe appartenere a un uomo crocefisso dopo il 150 d.C.. I resti sono stati originariamente dissotterrati da un team dell’Albion Archaeology nel 2017, e ora stanno offrendo numerose informazioni ai ricercatori.
Perché una scoperta del genere è importante? Innanzitutto perché si tratta della terza vittima crocefissa di epoca romana mai rintracciata dagli archeologi, e poi perché dimostra come la politica romana abbia governato con “severità” la provincia britannica all’inizio dell’Impero.
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Si stima che i Romani usassero raramente la crocifissione per giustiziare. Secondo gli storici sono massimo centomila le vittime di tale supplizio. Poi, nel 337 d.C., l’imperatore Costantino, dopo essersi convertito al Cristianesimo, bandì per sempre questa pratica.
Lo scheletro mostra un lungo chiodo conficcato nel piede. Ed è un dettaglio importante, poiché di solito i Romani preferivano usare le corde per assicurare la vittima alla croce. Solo in pochi casi (come quello famoso di Gesù Cristo), i boia utilizzavano dei chiodi. Dall’analisi risulta che la vittima inglese era un giovane di massimo trent’anni, alto uno e sessanta, circa.
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Il chiodo deve essere stato applicato a metà del supplizio, forse perché il condannato si contorceva troppo sulla croce. La vittima presenta inoltre molte lesioni alle gambe che testimonierebbero il fatto che sia stato tenuto schiavo e incatenato prima della sua morte. Fu sepolto con una struttura in legno, forse lo stesso catafalco su cui fu giustiziato.
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