Nei giorni scorsi però la professoressa dell’Università di Scienze Applicate di Amburgo Vera Schorbach se ne è uscita con un colpo di genio. Ha, in pratica, immaginato di poter sfruttare il potenziale di queste tempeste con il semplice meccanismo di una turbina eolica.
L’articolo firmato Vera Schorbach, pubblicato di recente sulla rivista Acta Astronautica, ha dunque riaperto il dibattito sulle tempeste di polvere marziane. La professoressa ha raccolto tutti i dati sulla velocità del vento e sulle tempeste di polvere disponibili. Il grosso di queste informazioni proviene dal lander della NASA Viking 2 (atterrato su Marte nel 1976). E così, la ricercatrice ha scoperto che la velocità del vento non è poi così potente durante le tempeste. Insomma, quel vento le è parso, almeno in teoria, sfruttabile.
Per far funzionare le componenti elettriche degli apparecchi di bordo, per depurare l’acqua, per il riscaldamento, e per tutti altri servizi necessari per un equipaggio di cinque o sei astronauti, ci sarebbe bisogno di una potenza pari a 80 kilowatt. E il vento marziano potrebbe non essere sufficiente. Il vento di Marte, infatti, è soprattutto un vento solare, e di notte cessa del tutto. Per questo, sarebbe importante poter sfruttare le tempeste di polvere. Come? Installando tre turbine dal diametro del rotore di cinquanta metri.
E questo è il problema… Una dimensione tale non pare al momento fattibile. Per montare delle turbine del genere ci vorrebbe almeno una gru gigantesca. E come potremmo mai farla arrivare sul pianeta rosso?
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Per ora Vera ci ha donato un’idea su cui lavorare. Tocca alla NASA e alle altre agenzie spaziali rendere possibile l’intuizione. Ci riusciranno? Magari, in futuro, non è detto che non si trovi qualche altra ingegnosa soluzione per realizzare questa visione.