Una console per videogame, più analogica che digitale. È la Magnavox Odyssey, la primissima console per videogiochi a uso domestico comparsa sul mercato. Fu presentata a fine maggio 1972 e messa in vendita nel mese di agosto dello stesso anno. Tre mesi prima del leggendario Pong dell’Atari. Ripercorriamo insieme la storia di questa meraviglia della paleoinformatica.
La Magnavox Odyssey venne progettata dal genio mai troppo celebrato dell’ingegnere tedesco naturalizzato americano Ralph Baer intorno al 1968. L’idea si collegava allo sviluppo di un precedente progetto videoludico intitolato Bucket Filling Game. L’intuizione vincente di Baer era di poter far girare un programma per videogiochi su un comunissimo televisore di casa. Per sviluppare una simile iniziativa si servì di un computer analogico rudimentale e di un oscilloscopio. Bear lavorò più di due anni per completare il progetto a livello tecnico. E, alla fine, l’opera si realizzò in un prototipo chiamato Brown Box. La prima vera e propria console della storia.
La storia della Magnavox Odyssey
E qui entrò in gioco la Magnavox, che investì nello sviluppo della console e aiutò Baer a rivedere il progetto per poter produrre un apparecchio da distribuire su larga scala. Il dispositivo fu così messo in commercio nel mese di agosto del 1972. Non fu in grado di sfondare sul mercato, a causa del prezzo elevato (cento dollari, circa) e dei numerosi difetti di esecuzione. Rimase in vendita fino al 1975. Ma oggi quel modello pionieristico è stato rivalutato dagli appassionati. Il prototipo della console realizzata da Baer (la Brown Box) è stato addirittura musealizzato. È custodito nel National Museum of American History dello Smithsonian Institution a Washington.
I videogiochi della Odyssey non interagivano con lo schermo in termini di pixel ma attraverso la manipolazione della linea di scansione del cinescopio con componenti elettronici di tipo analogico. Tuttavia, i contatti interattivi (i movimenti di gioco) erano organizzati su componenti logici (linguaggio binario) tipici dell’elettronica digitale. I colori della grafica erano il bianco e il nero, e non sarebbe potuto essere altrimenti visto che la maggior parte dei televisori di quel periodo era in bianco e nero.
Magnavox vs Atari
I meglio informati sapranno che a livello commerciale fu Pong il primo videogioco bidimensionale da casa a conquistare il mondo. Eppure, dopo l’introduzione sul mercato di Pong, la Magnavox denunciò la Atari, Inc. per violazione di brevetto. In effetti il programma Pong era quasi identico al gioco di tennis dell’Odyssey. Ci fu quindi un processo. E la Magnavox vinse la battaglia, costringendo al patteggiamento i rivali.
Durante gli anni Ottanta, Magnavox citò in giudizio anche altre grandi società come Coleco, Mattel, Seeburg, Activision. E in ognuno di questi casi vinse o arrivò al patteggiamento. Nel 1985, ci fu però un colpo di scena. Quella volta fu la Nintendo a citare Magnavox: il nuovo colosso giapponese cercò addirittura di invalidare i brevetti di Baer in base a una nuova interpretazione storica. Per la Nintendo il primo gioco elettronico era stato il Tennis for Two di William Higinbotham (costruito nel 1958) e non l’Odyssey.
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La corte, in quel caso, decretò che vi era una differenza sostanziale fra il gioco del ’58 e quello di Baer: la discriminante stava nel segnale video, utilizzato per la prima volta da Odyssey. Quindi il primato è rimasto a Baer.
Funzionamento
Apprezzatissima e sempre ricercata dai collezionisti, la Odyssey è un’icona per i retrogamer. Il dispositivo si basa su un circuito analogico per l’output e il controllo del gioco, e su molti componenti elettronici legati alla tecnologia pre-digitale. Il sistema era alimentato da batterie. Come anticipato, i programmi erano supportati da codici binari, quindi da un linguaggio proto-digitale.
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Altra caratteristica distintiva: la Odyssey mancava di effetti audio. E a detta di chi l’ha utilizzata si surriscaldava molto facilmente. Sembrerà strano, ma la console non aveva un microprocessore né una memoria. Aveva delle cartucce estraibili, che non avevano a che fare con i dati ma con la resa grafica.