Nel 1954 Adriano Olivetti aprì un negozio dedicato alle sue macchine da scrivere a New York. Quel tipo di store, come concetto, estetica e fine commerciale, diventerà d’ispirazione per il marchio Apple. Conoscete la storia dei negozi Olivetti? Ripercorriamola insieme.
Tutti gli acquirenti di prodotti Apple sanno di poter trovare un punto di riferimento negli Apple Store, dei veri e propri templi tecnologici dedicati alla promozione dei prodotti ideati dalla compagnia informatica di Steve Jobs. L’idea di realizzare store di questo tipo, per promuovere il brand, non nasce però da Apple. Il primo a pensare una cosa del genere fu Adriano Olivetti, intorno alla prima metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Olivetti era al tempo un marchio leader nel settore delle macchine da scrivere, apprezzato in tutto il mondo. Per questo, nel 1954 l’impresa decise di aprire un negozio monomarca a New York. E non in un posto qualunque.
Adriano Olivetti volle che il negozio fosse aperto in uno dei punti più amati e famosi della città, la Quinta Strada. Per rendere quello store qualcosa di unico, si affidò a un prestigioso studio di architetti, come già aveva fatto in Italia. C’era stato infatti l’esperimento di Roma, negli anni Quaranta. Un vero e proprio tentativo di architettura minimale d’avanguardia, a firma di Ugo Sissi, impreziosito da un enorme dipinto di Renato Guttuso (Boogie Woogie). Ed era nato negli anni Cinquanta un negozio simile anche a Venezia, a piazza San Marco. Ma per Manhattan, Olivetti voleva qualcosa di meglio. Coinvolse per questo i quattro architetti italiani più in voga del periodo e li mise insieme: Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti e Ernesto Nathan Rogers.
Il risultato lasciò gli americani a bocca aperta. Mai si era visto un negozio simile. Si trattava infatti di un open-space, edificato in marmo e vetro, elegantissimo, e in linea con i principi estetici espressi dalla fabbrica di macchine da scrivere. Lo store, in più, esprimeva una funzione più ampia e moderna rispetto a qualsiasi altro esercizio commerciale. Era un luogo aperto ai clienti che potevano provare le macchine da scrivere e chiedere consigli e manutenzioni gratuite agli addetti.
Una delle peculiarità che resero quel negozio newyorkese caro agli americani fu la possibilità di entrare, scrivere qualcosa a macchina e così lasciare un messaggio ai prossimi clienti. In molti entravano per scrivere lettere d’amore, poesie, proclami di protesta o frasi scherzose.
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Lo store attirò subito l’attenzione della stampa. Al tempo il prestigioso Times lo definì come lo spazio commerciale più bello della Quinta Strada. La rivista Domus lo descrisse come un’invenzione originale, ricca di valore poetico. Nulla di esagerato, a ben vedere. Oltre che d’eleganza e funzionalità, il negozio Olivetti si rese simbolo di una rivoluzione del mondo del marketing. Gli spazi aperti e luminosi imponevano il brand a chiunque passeggiasse per strada. E la disponibilità degli impiegati divenne una garanzia di affidabilità sul prodotto. Vi suona familiare? Certo, è la stessa strategia attuata da Steve Jobs con i suoi Apple Store.
Adriano Olivetti, figlio di Camillo, prese il timone della società nel 1938. E già nel 1940 il mondo celebrò il suo genio premiando l’uscita dell’addizionatrice Olivetti. Nel 1945, l’industria creò la Divisumma 14, ovvero la prima calcolatrice scrivente al mondo in grado di eseguire le quattro operazioni. Nel 1959 Olivetti sviluppò invece l’Elea 9003, uno dei primissimi mainframe computer a transistor: il vero padre di tutti i personal computer. Negli anni Sessanta, l’illuminato industriale portò l’azienda a dominare su tutti i mercati mondiali.
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Tutte le maggiori aziende al mondo utilizzavano macchine da scrivere Olivetti. E non solo. Erano diffusissime la macchina contabile chiamata Audit e la fatturatrice Mercator. Oliviero Olivetti rivoluzionò anche il sistema produttivo delle fabbriche, adottando la catena di montaggio. Olivetti credeva che fosse possibile lavorare senza alienarsi. Immaginava un equilibrio ideale tra solidarietà sociale e profitto. Per questo i suoi operai godevano di ottime condizioni salariali e lavorative. L’imprenditore costruiva asili e abitazioni vicino alla fabbrica, offriva convenzioni ad ogni operaio, metteva a disposizione biblioteche, sale di proiezioni cinematografiche, spettacoli e aule dove riunirsi durante le pause. Fu un vero e proprio idealista, capace di stupire il mondo. In fabbrica e poi in negozio.
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