Un articolo a prima vista sconvolgente apparso su Nature Astronomy ci informa della scoperta di tracce biologiche sulla superficie del pianeta rosso sondato dal rover Curiosity. C’è vita su Marte?
Il trapano del rover Curiosity buca da ormai molti anni la roccia di Marte alla ricerca di minerali da analizzare. Ogni tanto si inceppa o si blocca, ed è costretto a fermarsi in una base. Nell’ultima occasione, durante la perlustrazione delle dune di Bagnold, il rover si è fermato per l’ennesima volta. Gli scienziati hanno comandato il suo arresto sul fianco del Monte Sharp, dopodiché hanno deciso di versare la terra raccolta dal rover in un recipiente.
Questo tipo di raccoglitore era come al solito già riempito con una miscela chimica utile a reagire a tracce organiche. Ed ecco che si è verificata una scoperta inaspettata. Una conferma sulle possibilità dell’esistenza della vita su Marte? Non proprio… Bisogna infatti distinguere il semplice composto biologico dalla prova concreta dell’esistenza (passata o presente) di un essere vivente.
Per essere chiari: anche il carbonio (C) è una traccia organica, ma non può essere interpretato come una prova dell’esistenza dei marziani. Grazie al rover Curiosity abbiamo scoperto che quasi la metà dei campioni prelevati sul pianeta rosso contiene interessanti quantità di carbonio-12. Una concentrazione molto più alta rispetto a ciò che gli scienziati hanno trovato nell’atmosfera e nei meteoriti marziani. Ma andiamo con ordine…
Dunque, i ricercatori hanno analizzato le molecole rilasciate dal recipiente e hanno scoperto di trovarsi di fronte a composti organici. Il materiale, di sicuro assai compatibile con una traccia schiettamente biologica, è speciale perché su Marte non era mai stato rivelato nulla del genere. Nessuna agenzia spaziale aveva mai immaginato che fosse possibile trovare un composto siffatto.
Questa scoperta è stata ora argomentata e pubblicata su un breve articolo a firma M. Millan (ricercatore di Biologia dell’università di Georgetown) comparso su Nature Astronomy. Ed è subito partito il dibattito. Si tratta di una prova sufficiente a giustificare la presenza, almeno passata, della vita sul pianeta rosso? A quanto pare no.
Tra gli studiosi c’è ancora forte scetticismo. Il rover Curiosity, infatti, aveva rilevato molecole organiche sepolte nei sedimenti marziani già ricondotte a forme o processi biologici. Eppure tali tracce non erano state giudicate dagli esperti come prove effettive di vita.
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La nuova scoperta, però, rivela una discriminante oggettiva poco confutabile: i recenti composti sono stati rinvenuti in un luogo in cui millenni fa doveva esserci dell’acqua. E dove c’è acqua, come si suol dire, c’è vita!
I fisici e gli astrofisici della NASA hanno già coinvolto i responsabili dell’analisi in uno studio più generale, che comprende anche i campioni già recuperati e archiviati. Millan e i ricercatori del suo dipartimento, invece, stanno aspettando il lancio della missione ExoMars dell’Agenzia spaziale europea e di quella russa, che partirà nel 2022, per raccogliere ancora più campioni.
Già nel gennaio del 2020, grazie a Curiosity, gli scienziati della NASA avevano annunciato il rilevamento di un composto organico: il tiofene. Una molecola che sulla Terra si associa con il cherogene, il carbone e il petrolio. Ma nessuno si è voluto sbilanciare. Infatti, per molti fisici il tiofene potrebbe rivelare anche un’origine non biologica.
Nel 2018, invece, la sonda era riuscita a rilevare dei campioni interessanti da argilliti vecchie più di tre miliardi di anni. Questi campioni, sottoposti a pirolisi tramite gli strumenti interni del rover, avevano rilasciato diverse molecole organiche, fra cui composti aromatici come benzene e toluene, e materiali alifatici come il propano e il butene.
Anche in quel caso, però, la NASA ha annunciato che la scoperta non poteva essere letta come un’evidenza della presenza della vita sul pianeta. Tuttavia si tratta di una prova che dimostra la presenza di composti organici necessari per sostenere la vita microscopica.
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Qualche anno prima, nel 2015, Curiosity aveva rintracciato dell’azoto, sotto forma di ossido d’azoto, tramite lo strumento Sample Analysis at Mars (detto SAM). La presenza di azoto fu interpretata come una timida conferma alla teoria della antica abitabilità del pianeta.
Quando poi, nel 2017, il rover studiò e fotografò un vecchio cratere e una tavola rocciosa detta “Old Soaker“, tutta segnata da spaccature forse collegate alla presenza di un antichissimo strato di fango, la NASA interpretò quei dati come conferme delle passate condizioni ambientali favorevoli per microrganismi. La svolta è dunque vicina? Non per disfattismo, ma le prove sono ancora lontane…
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